"I libici in Unicredit? I soci migliori mai avuti"

Dalla Rassegna stampa

«Sono qui in memoria di don Giussani». Gioca come al solito d'anticipo Cesare Geronzi e con un sorriso gelido previene i cronisti stupiti di vederlo per la prima a un convegno pubblico. Una mossa che assicura al vecchio banchiere e neo presidente di Generali il caloroso apprezzamento del pubblico ciellino accorso ad assistere all'incontro programmato al Meeting di Rimini con Emma Marcegaglia, Maurizio Lupi e Giorgio Vittadini. «Io non vado mai da nessuna parte, e sono qui al Meeting perla prima volta perché non tutti sanno che don Giussani ha avuto una frequentazione della mia famiglia nella mia casa ai Castelli romani».
Non solo. «Ho avuto la fortuna - incalza Geronzi di presenziare lì a un incontro tra don Giussani e Guido Carli che considero il mio maestro. E' stato questo ricordo a convincermi ad accettare l'invito a partecipare quest'anno al Meeting, e sono molto lieto di averlo fatto in quanto questa realtà vista da vicino è molto diversa da come si percepisce da lontano».
Il presidente delle Generali, abituato allo spietato mondo della finanza, sembra sciogliersi e ammicca alla platea plaudente. «C'è chi parla di lobby degli "apolidi" conquistati da Cl. Io sono uno di quegli apolidi, ma posso dire che il vostro è ben diverso da quello che si tiene ogni anno a Cernobbio, dove io non sono mai andato». Forse contagiato dal clima della festa e dall'indubbio entusiasmo che pervade i 3.200 volontari e le migliaia di visitatori che si accalcano nei padiglioni della Fiera riminese, Geronzi non si nega. Le polemiche leghiste sull'ingombrante presenza libica in Unicredit (con più del 7% in mano al colonnello Gheddafi)? Gli occhi di Geronzi saettano, ma il volto si apre in un candido sorriso: «I soci libici in Capitalia (oggi in Unicredit per effetto della fusione) sono stati azionisti eccellenti, collaborativi, che non hanno mai contrastato la governance. I migliori che io abbia mai avuto». Geronzi si lascia andare ai ricordi. «Ho incontrato Gheddafi nel 1997 sotto una tenda nel deserto di Saba. Anni lontanissimi: il leader libico manifestava odio per gli americani e si chiedeva perché avrebbe dovuto investire in Italia, nel Paese che aveva causato tanti lutti al suo popolo.
Poi ci fu comunque l'ingresso con il 5% in Banca di Roma, un fatto che ha dato un forte contributo a ricapitalizzazione e rilancio. Non posso dire nulla di male del capitale libico e della classe dirigente che c'è in Libia». Da Unicredit a Generali il passo è breve. Un malcapitato cronista chiede a Geronzi notizie su nuovi dossier acquisizioni, magari in Estremo Oriente, e viene fulminato. «Non è che dobbiamo andare a prendere il fresco dei supermercati la domenica. La Compagnia punta solo ciò che serve. E non è che ci siano proposte concrete sui mercati asiatici». Sul fronte più complessivo della crisi finanziaria Geronzi sottolinea che bisogna introdurre al più presto nuove regole e principi nella finanza globale.
Un percorso che è stato fino ad oggi difficile, ma che è necessario portare avanti perché «nonostante le elaborazioni del Financial Stability Board i progressi finora segnati a livello internazionale non sono rilevanti». Un velata critica a Mario Draghi? Chissà. Comunque secondo il banchiere-assicuratore guardando al prossimo G20 di Seul «per un nuovo ordine monetario serve un organo che sovraintenda alla liquidità internazionale: una sorta di Banca centrale globale». Alla platea la proposta piace, tanto che alla fine Vittadini si fa prendere dall'entusiasmo e butta lì che se il sistema bancario italiano si è salvato dalla crisi subprime è grazie a Geronzi. Troppa grazia santo Cesare.

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