Libertà anche dalla miseria

Dalla Rassegna stampa

Nel 1931, alla voce «Democrazia» della fasciatissima (?) Enciclopedia Italiana, gli «italiani di Mussolini» avrebbero potuto leggere - a chiusura del paragrafo Le concezioni della democrazia la più convinta e commossa apologia di quella «forma di governo» che la retorica del regime associava ai ludi cartacei. Dell'epitaffio di Pericle, riportato nella Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide, si diceva: «Qui la democrazia (chiamata questa volta senz'altro con tale nome, che altrove non suonò mai troppo caro agli orecchi dei teorici greci) non è più soltanto governo del popolo. (...) Qui il contrasto tra libertà e sapienza è praticamente conciliato nel senso che la prima è mezzo per la conquista dell'altra e questa mezzo per il controllo della prima; e la democrazia ne risulta, può dirsi, quasi innalzata a liberalismo».

L'autore della voce, Guido Calogero, un giovane allievo di Giovanni Gentile, aveva acquisito un meritato prestigio accademico grazie ai suoi studi di filosofia greca - ai Fondamenti della logica aristotelica del 1927 sarebbero seguiti nel 1932 gli Studi sull'eleatismo e molti anni dopo la Storia della logica classica - ma la vastità dei suoi interessi storici e culturali non gli consentì di rimanere confinato nel chiuso orto degli antichisti. Inoltre la passione etico-politica lo portò ad esplorare i «massimi problemi» della storia del pensiero politico in un confronto serrato con gli autori antichi e moderni - da Socrate a Benedetto Croce - che presto ne fece un critico irriducibile della filosofia dì Gentile e della sua pretesa di dare dignità teorica al fascismo.

Del travaglio intellettuale prodotto dal superamento dell'attualismo gentiliano testimoniano scritti come La conclusione della filosofia del conoscere (1938), La scuola dell'uomo (1939) e le Lezioni di filosofia, completate nel confino di Scanno, negli anni dell'antifascismo militante. Sarà, tuttavia, Logo e dialogo del 1950 (divenuto poi Filosofia del dialogo, 1969) il compendio più limpido e maturo delle sue posizioni filosofiche. Lo studioso della filosofia antica, l'avversario del totalitarismo, il cofondatore del-Movimento liberalsocialista e suo massimo teorico con Aldo Capitini vedi la Difesa del liberalsocialismo del 1945 -, con la fine del Partito d'azione, di cui era stato prestigioso esponente, diventò, a partire dagli anni Cinquanta, una sorta di reincarnazione della figura socratica, un autentico maestro di saggezza, che affrontava le più complesse e delicate questioni morali e politiche, «sulla piazza», prendendo lo spunto dalle cronache dei giornali e dai casi umani concreti.

Non sembri riduttivo, ma ho l'impressione che le sue pagine più belle e ancora oggi più «attuali» siano quelle del Quaderno laico (1967), che raccolgono le riflessioni consegnate, settimanalmente, alla rubrica tenuta sul «Mondo» di Pannunzio, dal 1960 al 1966.

«Questi miei foglietti ebdomadari – rilevò non sono per me un divertimento giornalistico, bensì un insegnamento di filosofia non meno impegnativo di quello che da trentaquattro anni procuro di fare all'Università». A rileggerli, si ritrovano tutti i temi della filosofia calogeriana esposti con la chiarezza e la precisione dell'autentico democratico che vuole essere compreso anche dai non addetti ai lavori, giacché, in democrazia, bisogna farsi capire da tutti, vigendo il principio aureo «una testa, un voto». E vi si comprende meglio la critica dell'ontologismo, ovvero delle concezioni del mondo che ipotizzano un «essere» - Dio, la Natura, la Storia - ai cui voleri gli uomini dovrebbero uniformarsi.

«L'antico rapporto tra metafisica ed etica, tra filosofia dell'essere e filosofia del dover essere» per Calogero va invertito: «Non è più la verità che fa liberi, ma la libertà che assicura la coesistenza delle verità». In altre parole, è l'etica che fonda la scienza come dovere di comprendere gli altri, i loro bisogni, i loro valori, i contesti concreti in cui essi operano; non è la scienza che prescrive codici di comportamento e principi di organizzazione sociale. «Ogni sviluppo di civiltà, e quindi ogni eliminazione dì barbarie» deriva «dall'attuazione della fondamentale volontà etica di comprendere le ragioni e gli interessi altrui». «La libertà che è un valore - si legge in La giustizia e la libertà (1943) - la libertà che sì ha ìl dovere di difendere, è la libertà che si vede conculcata in altri. (...) E non posso riconoscere ad alcuno un diritto di libertà, l'esercizio del quale non sia concretamente compatibile con l'altrui esercizio di un eguale diritto».

Volere che gli altri siano egualmente liberi significa, però, metterli in condizione di esercitare concretamente tale libertà e ciò si traduce nell'eguale considerazione sia della «libertà da» (la libertà come non impedimento) sia della «libertà di» (la libertà come potere reale). «Giustizia e libertà - scrive Calogero sono come le nostre gambe, le quali ci sono entrambe necessarie per camminare». La metafora è suggestiva, ma con essa il filosofo rompeva con il «liberalismo puro».

«Libertà di pensiero? Libertà di parola? Libertà di voto? Certamente. Se l'uomo non possiede queste libertà - ribadiva in Difesa del liberalsocialismo -, non vale la pena che egli mangi il suo pane. (...) Ma se l'uomo possiede queste libertà, cioè queste aperte possibilità di azione, e non può tradurle in atto perché l'assillo della miseria gl'impedisce qualunque acquisizione di cultura e di orientamento politico, - allora con che animo il liberale potrà starsene tranquillo, come potrà pensare di aver esaurito il suo compito con l'aver assicurato a quell'uomo quella sola prima garanzia di libertà?». In tal modo, i diritti civili e politici, da un lato, e i «diritti sociali» dall'altro venivano posti sullo stesso piano, relegando in ombra, tuttavia, quanto non sarebbe sfuggito a Bobbio, ovvero che considerare «diritti dell'uomo anche i diritti sociali, oltre ai diritti di libertà» significa ritrovarsi tra le mani «diritti tra loro incompatibili, cioè diritti la cui protezione non può essere accordata senza che venga ristretta o soppressa la protezione di altri».

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