L'Europa gioca a testa e croce ma per ora è senza testa

Ci sono diverse ragioni, ideali o storiche, per considerare un governo politico dietro l'Eurozona uno sviluppo desiderabile o meno. Tuttavia dopo la crisi globale ci sono ragioni tecniche che giustificano l'idea che un tale governo sia più che desiderabile, sia cioè una necessità.
In un mondo in cui il dollaro e il renminbi sono governati per finalità nazionali, l'Europa rischia di essere il vaso di coccio degli squilibri altrui. E il nuovo minimo, ieri, del dollaro sull'euro ne è l'ennesima conferma. L'assenza di una vera e responsabile politica valutaria è infatti l'argomento più intuitivo a favore di un governo politico dietro l'euro. La Bce non può avere tra i suoi obiettivi, a fianco di quello statutario del controllo dell'inflazione, anche il valore dell'euro. Due obiettivi differenti da perseguire con un solo strumento (i tassi d'interesse) finirebbero per essere l'uno in contraddizione con l'altro. E il contrasto dell'inflazione perderebbe credibilità. Così, prive di un governo della valuta, le economie della zona euro sono costrette a compensare le svalutazioni degli altri paesi con processi interni di aggiustamento molto dolorosi: deflazione o disoccupazione.
Ma altre e più sottili ragioni stanno emergendo a sostegno di chi desidera che sulle spalle economiche dell'euro poggi una testa politica. Come è noto la Bce non può acquistare obbligazioni emesse direttamente da un governo europeo. Questo per due ragioni: una è che la Bce deve essere libera di controllare l'inflazione senza quindi dover creare base monetaria per finanziare le priorità politiche di uno dei governi. La seconda ragione è che (alcuni) stati membri non desiderano condividere una responsabilità fiscale comune né vogliono farlo attraverso la comune emissione di titoli pubblici europei. La conseguenza è che i titoli denominati in euro - a differenza di quelli in dollari - mancano della garanzia di una Banca centrale che in una situazione di crisi grave, come quella che abbiamo vissuto, sia comunque sempre in grado di stampare moneta per garantire e stabilizzare il valore dei titoli.
L'assenza di una garanzia politica - che potrebbe comunque essere tale da non diminuire l'impegno anti-inflazione - è un ostacolo allo sviluppo di un mercato obbligazionario dell'euro. Ma si tratta di un problema che va oltre l'Europa, perché impedisce ad altri paesi – Stati Uniti compresi – di diversificare le proprie riserve e il proprio debito. Fungendo da bilancere per il dollaro, l'euro sarebbe una sorta di stabilizzatore automatico dell'economia mondiale.
Nei fatti la crisi ha già modificato alcune pratiche della politica monetaria europea. La Bce ha aumentato – attraverso le consuete operazioni di mercato pronti contro termine – l'acquisto di titoli sovrani per un equivalente di circa 90 miliardi di euro tra l'agosto 2008 e il luglio 2009. Quali siano i criteri d'investimento non è del tutto ovvio.
L'assenza di un'autorità fiscale alle proprie spalle non dà alla Bce la garanzia che eventuali perdite provocate dall'investimento in titoli possano essere ripianate. Inevitabilmente la Banca dovrebbe investire nei titoli più sicuri anche al costo di aumentare il differenziale di interessi rispetto ai titoli pubblici emessi dai paesi le cui economie sono più divergenti. Questo può danneggiare la convergenza nella zona euro e rendere anche più problematica la gestione di una politica monetaria comune. Nel caso in cui la Bce investisse invece nei titoli "divergenti" lo dovrebbe fare in modo più arbitrario, supplendo a proprio rischio a decisioni certamente molto politiche.
Ma c'è uno sviluppo ancora più intrigante dietro il rapporto che si è stabilito in questi mesi tra la Bce e le banche europee. La Bce garantisce liquidità a basso costo al sistema bancario europeo, che a sua volta lo reinveste in titoli pubblici sfruttando, a spese dei contribuenti, un guadagno sicuro grazie al differenziale di rendimento tra la liquidità e i titoli. Allo stesso tempo i governi ricavano un certo respiro finanziario che permette loro di evitare decisioni di politica fiscale che richiederebbero un confronto nelle sedi democratiche di decisione politica. Ora, è discutibile che questa sia la maniera più efficiente di gestire i rischi d'instabilità bancaria. Inoltre si potrebbe anche mettere in questione la democraticità di forme non trasparenti di prelievo fiscale. Ma più in profondità c'è da chiedersi se ci si può davvero aspettare che tra banche e governi non si stabilisca un rapporto collusivo dopo aver dato via a questo reciproco salvataggio. Quale governo sarà mai nella posizione di lasciare fallire una banca dopo un tale sodalizio?
Negli ultimi 12 mesi la Bce ha aumentato del 60% l'offerta di liquidità attraverso le operazioni di mercato aperto. Gli effetti sul credito all'economia, come si sa, sono stati modesti. Il credito alle imprese tende a crescere in ritardo rispetto al ciclo economico e infatti la domanda di prestiti è ancora lontana dai livelli normali e non per forza per l'inerzia delle banche. All'inizio le banche hanno accumulato la liquidità e l'hanno depositata presso la Bce ottenendone un guadagno certo e sicuro. Più di recente stanno utilizzando i finanziamenti a basso costo (1%) della Bce per acquistare titoli pubblici, con la conseguenza, oltre al guadagno, di migliorare la qualità dei bilanci in cui avevano in passato accumulato titoli tossici. Secondo alcune stime circa metà dei titoli pubblici emessi dall'inizio della crisi dai governi europei è stata assorbita dalle banche che erano state finanziate dalla Bce. In una tale situazione la Bce può trovare problematico rientrare nella normalità. Un aumento del costo del finanziamento alle banche rende meno attraente per le banche stesse investire i fondi in titoli di stato. A questo punto può diventare inevitabile che aumentino non solo i tassi a breve, ma anche quelli a lungo termine per rendere più conveniente l'acquisto di titoli pubblici. Se la politica monetaria europea si trovasse in un tale dilemma, rischierebbe un aumento dei tassi e un apprezzamento eccessivo dell'euro, con il serio rischio di cadere in una nuova recessione. Questo potrebbe non avvenire se la Federal Reserve americana facesse contemporaneamente la stessa cosa, ma sarebbe necessaria una strategia coordinata. E anche questo tipo di strategia, oltre un certo punto, può avvenire solo nel contesto di un accordo tra autorità politiche.
Se poi, per le difficoltà descritte, la Bce dovesse invece ritardare ad aumentare i tassi, allora l'eccesso di liquidità fornita alle banche europee finirebbe prima o poi per scaricarsi su qualche forma d'investimento, Finirebbe cioè per gonfiare nuove bolle speculative. Di fatto si ripartirebbe dalla casella iniziale in attesa della prossima crisi.
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