Lettere - Vivo un papa, non se ne fa un altro

Sarebbe un altro mondo – ma già ci accontenteremmo di un’altra Italia – se si realizzasse l’auspicio contenuto nelle penultime esternazioni di Joseph Ratzinger. Il papa uscente ha affermato che non si deve «strumentalizzare Dio per i propri fini, dando più importanza al successo o ai beni materiali»: in parole “povere”, cioè, la fede non si dovrebbe usare per il potere. Certo, a guardare la Chiesa cattolica odierna, tutto si può dire tranne che essa non sia uno dei principali centri di potere secolare del pianeta. Allora si accolga, finalmente e fino in fondo, questa predica in extremis del pastore dimissionario, a cominciare dalla designazione del suo successore. Che accadrebbe se una rielezione, invece, non avesse luogo? Se terminasse cioè lo stato di monarchia assoluta che vige in Vaticano e al contempo esso rinunciasse al suo potere secolare? Se quel conclave che deve riunirsi tra poco diventasse più chiaramente il democratico parlamento di uno Stato autonomo e religioso nel senso più vero della parola? Con il capo cosparso di cenere, chiedendo perdono per questa ingerenza all’incontrario, si propone una soluzione semplice: vivo un papa, non se ne fa un altro. E vediamo che succede.
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