Lettere - Immigrazione “a punti”? Si, se può salvare la democrazia

Cara Europa, di quel pochissimo che ho sentito o letto dell'assemblea del Partito democratico a Varese, partito per il quale voto da vecchio tescano, pur trovandomi molto in minoranza da queste parti, l'idea forte che mi è rimasta in testa è la proposta di Veltroni di fissare un numero e alcune condizioni per l'immigrazione in Italia. A me sembra che sia quello che tutti pensiamo. Ma evidentemente i leader, carichi di storia, magari avariata, pensano diversamente: o, se pensano come noi elettori, non riescono a dirlo. Difatti, mi pare che la proposta sugli immigrati "a punti" sia caduta nelle risoluzioni finali dell'assemblea, anche se Bersani ha precisato che «non siamo un partito buonista». Opinione, se non sbaglio, già espressa da Francesco Rutelli. E allora?
Vasco Ballerini, Como
Caro Ballerini, le dirò la mia opinione. Fu Rutelli - per primo nel Pd - a sostenere che l'immigrazione incontrollata e la politica delle porte spalancate sono fornite di risentimenti popolari, che possono arrivare fino alla rivolta contro la democrazia.
Anche domenica l'ex leader del Pd, ora leader dell'Associazione per l'Italia (Api), ha dichiarato d'aver visto con piacere che a Varese «qualcuno nel Pd ha proposto il tema dell immigrazione e della cittadinanza a punti, che io stesso avevo lanciato». E ha lamentato che la proposta di Vetroni non sia stata adottata dall'assemblea perché c'erano altri con posizioni opposte, sicché alla fine «hanno approvato tutte e due le linee all'unanimità».
Io seguo poco la vita interna dei partiti da quando morì di tangentopoli l'unico partito nel quale abbia attivamente militato, quello liberale: e debbo dirle che non comprendo la conclusione di Varese riguardo al tema dell'immigrazione. Eppure, mentre a Varese si discuteva nell'isolamento della campagna di Malpensa anziché nel cuore di Milano o Torino o Venezia, come avrei preferito, a Vienna il partito antislamista stravinceva le elezioni amministrative passando dal 12 al 27 per cento e costringendo il partito socialdemocratico dal 49 a1 44 per cento (Vienna è "rossa" dal tempo di Francesco Giuseppe). Non parliamo dei popolari, ridotti al 13 per cento.
Il voto austriaco segue a quello danese, a quello olandese, a quello svedese. Con un risultato positivo e uno negativo. Positivo a me sembra il richiamo all'identità dei popoli, e il rifiuto del multiculturalismo unilaterale (che cioè vale per noi europei ma non per chi viene in Europa e conserva ferocemente le sue idee e pratiche culturali). Negativo perché il voto può eccitare altri xenofobi o estremisti di destra, che plaudono all'espulsione dei rom "in quanto tali" da parte di Sarkozy (che poi viene dal papa a farsi ribattezzare in nome del «contesto»); o addirittura plaudono alla Lega, dimenticando che essa non è solo "razzista" ma ufficialmente secessionista e quindi non meno pericolosa per la democrazia e la civiltà italiana di quanto lo sia l'immigrazione islamica, se diventa invasione.
A noi interessa invece avversare democraticamente l'islamismo: che a Teheran celebra la giornata di domenica contro la pena di morte impiccandone quattro; in Olanda pugnala a morte il regista Teo van Gogh; in Italia uccide mogli e figlie (quasi non bastassero a ciò gli italiani, coi loro mobbing e i loro stupri). Insomma, vorremmo evitare che, tra qualche anno (il partito che ha avuto il 27 per cento a Vienna, cinque anni fa era al 3, poi è balzato al 12), i nostri figli dovessero trovarsi di fronte all'alternativa: o si muovono i politici o si muovono i popoli.
Sappiamo che i popoli, quando si muovono per sfiducia nella politica (vedi Lega), non sempre seguono la moderazione e la democrazia. In ogni caso, l'immigrazione col contagocce, che io auspico, non può prescindere da una politica di interventi nel Sud del mondo: che invece (come ha ricordato domenica il radicale onorevole Mecacci all'assemblea parlamentare dell'Osce, riunita a Roma), molti paesi dell Organizzazione trascurano, oltre ad aver abbandonato "Carte" come la convenzione di Ginevra, votata dopo la seconda guerra mondiale.
Allora le emigrazioni forzate riguardavano milioni di europei che avevano perduto la patria (tedeschi orientali, sudeti, polacchi dell'est, italiani d'Istria e Dalmazia). Oggi riguarda altri popoli che non sono riusciti a vincere la guerra alla povertà e, purtroppo, alla loro cultura primordiale, che dobbiamo aiutarli a correggere.
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