Lettera - Il terreno fragile del “fine vita”

Dalla Rassegna stampa

Caro Orlando, un’inchiesta dell’inserto "è vita" di Avvenire enuclea le associazioni, i gruppi di studio, i partiti favorevoli, in Italia, alla legalizzazione o alla depenalizzazione dell’eutanasia: da "Exit Italia" a "Libera Uscita", dall’"Associazione Coscioni" a "A Buon diritto", da Aduc alla consulta di bioetica, fino al Partito radicale. Il "fine vita" è un terreno fragile, che inevitabilmente divide. Il diritto o lo stato possono permettere la legalizzazione della «dolce morte»? Alcune «scelte individuali» possono essere doverosamente considerate da chi ha l’onere di scrivere le leggi? L’eutanasia è fisiologicamente un campo minato, controverso: alla base d’ogni cultura, d’ogni antropologia di riferimento, ci sono acquisizioni di fatto. La vita è sacra, inviolabile, indisponibile? Oppure essa in certuni casi può diventare anche disponibile? Sono quesiti profondi. Sono lacerazioni, che ognuno di noi si porta dentro, codificate a chiare lettere. È ingiusto, illegittimo, pensare che tutti gli italiani possano aderire irreversibilmente ad una stessa morale. Fra l’etica tradizionale e la morale laica, si staglia limpida un’etica della cittadinanza, che contempera le concezioni multipolari della gente. È ingeneroso liquidare lo spot dell’associazione Coscioni sull’eutanasia come «propaganda ideologica» o «provocazione violenta». È corretto che, nel nostro paese, si discuta anche di «dolce morte». Certo, come non condividere, per intanto, la posizione culturale del senatore Ignazio Marino, che vorrebbe una legge veramente liberale sul testamento biologico e un investimento massiccio sulle cure palliative.
Marcello Buttazzo, Lequile (Lecce)

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