Lettera - Sospendere il sostegno vitale non è reato. E la Dat è inutile

Al direttore - L'onorevole Carlo Casini nel suo commento sulla legge "fine vita" (il Foglio, venerdì 4 marzo, ndr) cita - correttamente - l'ordinanza che mi proscioglie dal reato di omicidio del consenziente nel caso Welby. Il Casini omette però di riportare i motivi del proscioglimento, proprio lui che è magistrato. Sono stato prosciolto perché era mio dovere d'ufficio interrompere la terapia così come richiestomi dal paziente. Questo potrebbe eventualmente sollevare il problema della obiezione di coscienza. Di fatto - recita l'ordinanza - ho permesso l'esercizio di un diritto costituzionale. Diritto perfetto - come definito dai giuristi - di immediata applicazione che non necessita pertanto di una apposita legge di tutela. Questo è il punto fondamentale. La volontà del paziente, circa l'accettazione o il rifiuto di trattamenti sanitari, è insuperabile. La perdita della capacità di intendere e volere - temporanea o permanente - non può impedire l'esercizio del diritto costituzionale. Così già si espresse la Cassazione nel lontano 1992 nel famoso caso Massimo e in successive occasioni. Non è sostenibile una differenza tra l'atto omissivo e quello commissivo. Se producono un fatto penalmente rilevante sono giuridicamente equivalenti. Che il medico non inizi una terapia o la interrompa - se questo porta a un fatto di rilevanza penale - è perfettamente uguale. In verità qualcuno vorrebbe confondere l'autodeterminazione del soggetto, che è un diritto, con un presunto reato: l'eutanasia passiva.
Terminata l'incursione nel campo giuridico, torno nelle mie più strette competenze: la medicina pratica del fine vita, Nel 2007 l'Istituto Mario Negri pubblica una ricerca che evidenzia che il 63 per cento dei decessi (circa 16.000 all'anno) nelle sole rianimazioni italiane avviene in seguito alla decisione clinica di non iniziare, limitare o interrompere le terapie. Atti omissivi e commissivi. Spesso la decisione è assunta ricostruendo, assieme ai familiari, la volontà dei pazienti, ormai non più capaci di intendere e volere.
Nei reparti di area critica (terapia intensiva, chirurgia d'urgenza, unità coronarica, pronto soccorso) ogni terapia somministrata è una forma di sostegno vitale. La ventilazione meccanica, la dialisi, i farmaci per sostenere il cuore, gli antibiotici per prevenire le gravi infezioni, le trasfusioni di sangue e in ultimo anche la terapia nutrizionale, sono tutti trattamenti la cui interruzione, riduzione o non inizio comportano la morte del paziente. Al massimo è possibile distinguere quelle forme di sostegno vitale la cui interruzione comporta la morte quasi immediata del paziente (caso Welby), da quelle la cui sospensione permette comunque la sopravvivenza per un periodo limitato (caso Englaro).
Ma dice ancora bene il Casini: una Dichiarazione anticipata di trattamento, a differenza di una Direttiva anticipata di trattamento, non ha alcun valore vincolante per il medico. Pertanto la sua compilazione, per come è la proposta in discussione, risulta effettivamente un puro esercizio letterario di nessuna utilità pratica.
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