Lettera - Primarie, le regole evitano il far west

Dalla Rassegna stampa

Caro direttore,
l’appello di Renzi agli elettori del Pdl non deve sorprendere. Renzi infatti non ha fatto che ripetere lo schema che gli ha permesso di diventare sindaco di Firenze: essere largamente votato nelle primarie da elettori di centro-destra, che nelle elezioni vere e proprie sono tornati a votare per il proprio schieramento, permettendogli di superare nelle primarie i concorrenti troppo numerosi e divisi. Negli Usa - ove le primarie sono nate - il fenomeno di elettori che votano nelle consultazioni del partito avversario per scegliere il candidato più debole (se pensano di vincere) o il candidato a loro più vicino (se pensano di perdere), viene chiamato «raiding», cioè attacco ostile. E’ indubbio che il fenomeno inquina il valore delle primarie come strumento di selezione democratica della classe politica e che lo fa tanto più sono aperte e senza regole.

E’ questa la ragione per cui in tutti i sistemi che adottano le primarie (in altri si opta invece per le preferenze, che essendo espresse in contemporanea con il voto al partito non consentono l’intervento di elettori avversari, e sono perciò preferibili) si è posto limiti alla partecipazione. Nel caso dei partiti americani, meno strutturati di quelli europei, le primarie si sono progressivamente aperte a tutti gli elettori simpatizzanti; ma attraverso un diffuso obbligo di preventiva registrazione del proprio nome si è posto un limite alla possibilità che un elettore repubblicano possa partecipare alla scelta del candidato democratico e viceversa. «Aperte» non significa insomma aperte agli avversari, ma piuttosto «limitate» a chi possa pubblicamente rivendicare il diritto a partecipare.

Anche nel caso dei partiti europei, in particolare di quelli socialisti, vi sono limiti alla partecipazione. Nel caso del Labour Party il leader lo scelgonoi tre constituencies di pari peso ponderato: 1/3 del risultato è espresso dal voto dei gruppi laburisti ai Parlamenti nazionale ed europeo; 1/3 dai dirigenti eletti nelle istituzioni locali; 1/3 dagli iscritti ad associazioni «amiche», quali le Trade Unions. Insomma, tre constituencies ma tutte ben identificate con il Labour Party o con la sua area di presenza sociale. Nessun rischio di raiding e di inquinamento.

Per i socialisti spagnoli, l’elettorato attivo è stato allargato fino a comprendere chiunque si sia iscritto almeno tre mesi prima della consultazione. Ma anche qui un elettorato attivo ben identificato.

Il partito socialista francese, dopo aver adottato regole simili a quelle spagnole, nel caso della consultazione vinta da Hollande è ricorso a primarie aperte. Va notato che in Francia la permanenza tra i simpatizzanti del partito socialista di una cultura di «appartenenza» è ben più forte di quella che caratterizza gli elettori del Pd, nato dall’unione di due tradizioni diverse che lo rendono più simile ad un rassemblement che a un partito tradizionale, e quindi più esposto al rischio di operazioni di «raiding». Le regole limitative dell’elettorato attivo in Irlanda, Canada, Australia, e così via, sono ben più stringenti di quelle dei partiti latini.
A favore di primarie interamente aperte possono essere invocati solo i precedenti del 1996 e 2008. Ma le attuali primarie sono diverse da quelle che incoronarono Prodi o Veltroni. Allora furono lo strumento con cui candidati già scelti dai vertici della coalizione tra Pds e Popolari o del nascente Pd furono legittimati dal voto popolare: «primarie di legittimazione» e mobilitazione e non «primarie di selezione». Del tutto logico, perciò, trattandosi di legittimare un candidato già scelto, mantenere le primarie totalmente aperte per facilitare la partecipazione degli elettori. Diverso è si deve selezionare un candidato tra due o più concorrenti.

Regole dunque, limitate almeno a due principi ineludibili.
1) Il doppio turno: in presenza di una pluralità di candidati se nessuno tra questi raggiunge il 50,01% dei voti è imperativo ricorrere a un ballottaggio. Sarebbe elemento di grande debolezza per il candidato prescelto presentarsi alle Politiche senza avere avuto nemmeno la maggioranza del proprio elettorato.

2) Limiti alle spese dei candidati e regole per le apparizioni in tv simili a quelle delle elezioni nazionali. Non si dimentichi che il vincitore delle primarie può essere il futuro premier, e che esse sono parte essenziale del complessivo processo elettorale. Un «far west» delle primarie non sarebbe utile a una democrazia, come quella italiana, insidiata da pulsioni populiste e da un leaderismo mediatico incapace di essere reale guida per il paese.

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