Lettera – Perché avere figli resta un diritto anche in mondo già molto pieno

Condivido totalmente la brutale lettera sulla sovrappopolazione di Giorgio Ruffini sul Venerdì del 26 agosto. Non sono, invece, d'accordo con la sua troppo flebile risposta. Accanto al professor Sartori, che ribadisce i temi di Aurelio Peccei (Club di Roma, associazione non profit del 1950), si possono citare Ceronetti («I figli che non fate non moriranno di fame») e soprattutto, tra i politici, Pannella e i radicali, che da molto tempo evidenziano e discutono il problema, anche sul sito Rientro dolce (lo segnalo alla sua attenzione). Inascoltati. Ma alla sinistra tradizionale le idee radicali non sono mai piaciute (della destra non occorre parlare, arroccata com'è su posizioni oscurantiste).
Il problema è certamente difficile, ma non è ignorandolo che si può sperare di risolverlo. Proprio per trovare quei varchi che Lei fideisticamente vede «nell'amore per la vita e soprattutto per la vita dei figli» (e, allora, perché non «nell'amore di Dio per noi»?), occorre portare il problema a livello di coscienza. Il suo elenco di «credo» mi ha fatto venire in mente - con un brivido una preghiera che fui costretta ad imparare nell'infanzia: anni di razionalismo illuminista buttati nella pattumiera, e proprio da Lei! A livello del decremento demografico opera un tabù, per me incomprensibile, che unisce i più efferati oscurantisti religiosi ai marxisti più convinti.
Luciana Virando
La dura lettera di Giorgio Ruffini sulla sovrappopolazione del Pianeta sta sollevando tra i lettori del Venerdì un dibattito molto vivace. Come se avesse toccato un punto tanto nevralgico quanto rimosso. Prevalgono le opinioni «riduzioniste» (mi si passi il termine), espresse molto efficacemente da Luciana Virando e da altre lettere che non posso pubblicare per ovvie ragioni di spazio. Ma poiché il dubbio è il padre di ogni ragionamento proficuo, ho voluto aprire questa rubrica con la lettera di una signora africana (che si esprime in uno straordinario italiano) che desidera non rendere pubblico il proprio nome per ragioni di sicurezza. La signora denuncia un programma di sterilizzazione di massa più o meno volontaria nel suo Paese, il Ruanda. Rinfrescandoci la memoria a proposito dei rischi che ogni regolamentazione delle nascite porta con sé: i rischi eugenetici (selezione della «razza») e i rischi politici (invogliare alla sterilizzazione i più poveri, che sono al tempo stesso i più prolifici, i meno protetti e i più esposti al bisogno di denaro). Non voglio ci siano equivoci circa la mia opinione: considero il controllo delle nascite un'urgenza «tecnica» ma anche etica, perché è scellerato e crudele inflazionare la vita umana fino a renderla senza valore e senza speranza, e perché siamo responsabili, come specie, degli equilibri biologici del Pianeta. Considero pernicioso il fatalismo di quasi tutte le culture religiose, ridicola e pericolosa l'idea che «Dio provvederà». Ma non sopporto l'idea che siano i poveri, i deboli, gli indifesi a pagare l'egoismo e le angosce di noi ricchi, per esempio svendendo per pochi soldi il loro diritto a procreare, o sentendosi rinfacciare la colpa di avere una bocca per mangiare e uno stomaco per digerire. La severità è condivisibile quando è equa. Se è iniqua, è solo violenza e classismo. Un'ultima considerazione. La lettrice Virando mi rimprovera di avere usato il verbo «credo», che apparenta (con un brivido...) alle «preghiere». Capisco. Ma non ho ancora trovato un efficace sinonimo dei verbo «credere», quando si tratti di esprimere speranze o sentimenti che non sono - come dire - dei tutto documentabili sul piano razionale. Né l'amore né l'eros né molte delle pulsioni che ci guidano lo sono. «Credere negli uomini» non è un atteggiamento certificabile di fronte al Tribunale della Ragione. Mi capita ugualmente di farlo.
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