Lettera – La pace comincia prima

Dalla Rassegna stampa

Caro Colombo, ho seguito le notizie sulle manifestazioni pacifiste e mi domando: si poteva non fare la guerra alla Libia?
Corrado
 
Certo, ma prima. Questo però non è un torto dei pacifisti, che dicono quello che dicono, e che è difficile da smentire, quando le cose accadono. È il torto della migliore cultura del mondo che, premi Nobel per la Pace inclusi, sembra non vedere e non far notare in tempo ciò che accade prima e che porta, danni gravissimi dopo, se non si interviene prima. In altre parole continua da tempo immemorabile una cecità dei tempi necessari per la pace, perché il contrasto con gli interessi economici in gioco domina sempre ciò che si decide oggi senza pensare alle conseguenze tragiche che stanno per venire domani. Come vedete trascuro deliberatamente il percorso del complotto guerrafondaio, perché temo che l'odore dei soldi e la impotenza politica siano le cause principali dei disastri che si ripetono. Poiché parliamo di Libia, prendete il trattato di partenariato, amicizia e cooperazione tra Italia e Libia, ratificato da quasi tutto il Parlamento appena due anni fa e celebrato a Tripoli al punto da far sfrecciare nel cielo di quella città, in onore di un noto e screditato repressore di diritti umani e assassino di carcerati; gli stessi aerei che, adesso ci dicono, partecipano alla missione militare contro il predetto assassino. Come è possibile che in tutto il Parlamento italiano soltanto i Radicali (che non sono pacifisti) e pochi parlamentari sparsi si siano accorti del grave errore che si stava compiendo e delle sue inevitabili conseguenze? Ovviamente non è una gara fra intelligenti o un prodigio di pochi paranormali che intravedono il futuro in anticipo. C'è solo l'impegno di domandarsi "che senso e che conseguenze ha quello che sto facendo?", oppure di non chiederselo perché si reputa che sia più conveniente per gli interessi (definire gli "interessi") della patria. Qui c'è un ostacolo logico che si rimuove con troppa disinvoltura. Si può accettare la guerra? È strano che siamo così tanti a dire no, se la domanda è isolata da fatti e circostanze specifiche. E così pochi, se ci si riferisce a una situazione concreta. Ricordo la vigilia della minaccia terribile di un evento che si è rivelato davvero terribile: la guerra in Iraq.
 
Soltanto in pochi hanno voluto prestare attenzione alla fattibile proposta di Pannella (esilio per Saddam Hussein senza distruzione del Paese) una proposta così fattibile, che adesso la chiedono tutti per Gheddafi, ma senza avviare alcuna azione diplomatica per renderla davvero possibile. Gli altri volevano l'impossibile, a giochi ormai fatti: o tutta la pace o tutta la guerra. E quello che poteva accadere con la Libia, cominciando con il non ratificare il trattato e nel non trasformare la Libia in un alleato addetto al mestiere sporco di fermare gli immigrati in mare a qualunque costo, vite umane incluse. La ratifica di quel trattato ha prodotto conseguenze sempre peggiori, fino alla guerra. Ora dovrebbe essere chiaro per chi ha orrore della guerra, che la pace, con il suo valore immenso e unico, non è una magia che si compie per invocazione, ma una sequenza politica che può realizzarsi solo se comincia prima.

© 2011 Il Fatto Quotidiano. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK