Lettera - Il nuovo Venti Settembre in salsa clerico fascista

Dalla Rassegna stampa

 

Cara Europa, meno male che il papa, nella sua visita a Edimburgo, non ha dovuto posare in gonnellino scozzese per i fotografi. Questa irriverente idea mi è venuta vedendo su qualche giornale romano Benedetto XVI col cappello piumato da bersagliere, sistematogli da un piumatissimo bersagliere di buona età, immagino per conto dell'Associazione d'arma. Il tutto alla vigilia del XX Settembre, dai 140 anni cioè dell'entrata dei bersaglieri a Roma e della fine del potere temporale dei papi. Leggo che il sindaco Alemanno ha organizzato tre giorni di feste varie per l'occasione, addirittura con via XX Settembre chiusa per esibizioni di giocolieri, attori e cose varie per divertire la gente (venghino, signori) e per popolarizzare la ricorrenza, di cui nessuno sa più nulla, da quando il fascismo soppresse la festività in omaggio alla Chiesa con cui aveva firmato i Trattati lateranensi e il concordato. Vedo che il gran regista del 140° anniversario non sarà il presidente del consiglio italiano ma il capo del governo pontificio, cardinale Bertone; e mi dispiace che il nostro capo dello stato partecipi a questa specie di sacra rappresentazione, accettando di essere insignito in Campidoglio del titolo di primo cittadino di "Roma capitale". Mi chiedo cosa avrebbe detto Spadolini, primo presidente laico del consiglio dopo trent'anni di governi Dc, e capo di un partito repubblicano non rappresentato allora dall'on. Nucara.
Cesare Amadeo, Roma
 
Caro Amadeo, ho avuto già modo di esprimere in questa rubrica tutta la mia contrarietà di vecchio liberale alla beatificazione del XX Settembre: una data che, come mi insegnarono in tanti (laici come Spadolini e cattolici come Jemolo, fra gli altri), non ha niente a che fare né col fascismo né col clericalismo. Il "revisionismo storico" Bertone-Alemanno, come accusa il partito radicale, mi è estraneo, come parlarmi di Avatar e guerre stellari. Perciò stasera o domani sera me ne andrò al Teatro dell'Angelo, a vedere In nome del papa re, opera già magistralmente interpretata da Nino Manfredi. Dicono che Bertone abbia preparato una preghiera per tutti i settanta morti di Porta Pia, cinquanta soldati del regno d'Italia e venti del papa-re. È un progresso rispetto ai vari Ruspoli, Fazio, Legionari di Cristo che il 20 settembre erano abituati a far dire messa e portare corone solo per gli svizzeri pontifici. Ma questa Italia riunita nel segno del littorio e del triregno, mentre il capo del governo si occupa delle sue faccende finanziarie, giudiziarie e televisive, è ancora la nostra "patria"? E gli italiani che plaudono a quel presidente del consiglio, quelli che partecipano a questo 20 settembre di cui da decenni non sanno nulla e nulla insegnano ai figli, sono ancora equipaggiati per dire no al secessionismo di Bossi? Oppure secessionismo e clericofascismo non sono che modi diversi di perdere la "patria", come si chiamava una volta? Lei mi chiede cosa avrebbe detto Spadolini, se per sua e nostra fortuna fosse ancora vivo. Credo che avrebbe ripetuto concetti da lui espressi in tanti libri di storia (oggi il discorso storico la farà Veneziani, solitario intellettuale postfascista): «Perla convivenza fra le due Rome in un clima di armonia e di reciproco rispetto - scrisse nel saggio Le due Rome, ed. Le Monnier - noi ci siamo sempre coerentemente battuti: non crediamo che a tale convivenza sia essenziale il mantenimento degli strumenti concordatari, almeno nella forma ereditata dai patti del 1929 (...), che avevano un senso e un valore solo nella logica di un regime totalitario, e come necessaria difesa, da parte della chiesa stessa, contro le usurpazioni autoritarie». Purtroppo, le cose sono andate in senso opposto agli auspici di Spadolini e di tanti laici (allora dirsi laici non era una parolaccia). Anzi, siamo arrivati alla revisione Bertone-Alemanno. Sarebbe come se i francesi celebrassero la data della loro rivoluzione (14 luglio) ponendone al centro la rievocazione di Luigi XVI, affidata all'attuale capo della nobiltà francese e al presidente di quella conferenza episcopale.

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