Lettera - Not in my name, please. Precisazione sulla legge non amata

Dalla Rassegna stampa

Al direttore - Gheddafi contro i diktat morali: "Le dichiarazioni anticipate di fine regime non possono essere vincolanti".
Maurizio Crippa
 
Al direttore - In una delle sue recenti apparizioni televisive, ora riproposte nel libro "Vieni via con me", Roberto Saviano nel capitolo "Il terremoto all'Aquila" scrive: "Nel luglio del 1883 il filosofo Benedetto Croce si trovava in vacanza con la famiglia a Casamicciola, a Ischia. Era un ragazzo di diciassette anni. Era a tavola per la cena con la mamma, la sorella e il padre e si accingeva a prendere posto. A un tratto, come alleggerito, vide suo padre ondeggiare e subito sprofondare sul pavimento, mentre sua sorella schizzava in alto verso il tetto. Terrorizzato, cercò con lo sguardo la madre e la raggiunse sul balcone, da cui insieme precipitarono. Svenne e rimase sepolto fino al collo dalle macerie. Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: Offri centomila lire a chi ti salva. Benedetto sarà l'unico superstite della sua famiglia massacrata dal terremoto". Ovviamente, Saviano si astiene dal citare quale sia la fonte della sua ricostruzione, né accenna alle "Memorie della mia vita" (10 aprile 1902 dello stesso Croce). Il messaggio vuol essere a senso unico: nei terremoti "mazzette" allora e "mazzette" oggi, la storia si ripete, alle radici della cricca potrebbe addirittura rinvenirsi Croce. Il che è vile, ingiusto, disonorevole. Per Saviano, non per Croce.
Luigi Compagna
 
Il credito "generalista" che si è conquistato il ragazzo, a parte la sua coraggiosa denuncia della camorra, è per me un mistero. Esoterismo puro.
 
Al direttore - Comprendo la posizione contraria da lei assunta a proposito della legge in discussione sul "fine vita". Ma molti di coloro che oggi fanno mostra di apprezzare le sue idee, ieri irridevano le sue bottigliette d'acqua per Eluana Englaro e voterebbero volentieri soltanto una legge per l'eutanasia.
Sebino Caldarola, Torino
 
Not in my name, non a nome mio. Pannella e Bonino, in sit in permanente, mi hanno, spero ironicamente, indicato come testimonial ateo-devoto (trallallero-trallallà) della loro campagna contro la "legge empia" firmata dal serio Raffaele Calabrò. Uso lo slogan pacifista per dichiarare guerra (trallallero-trallallà) a chiunque sia tanto spudorato da farmi forzatamente convergere, sia pure virtualmente, con il partito del diritto di morire. Non perché non rispetti le opinioni degli altri, è che semplicemente quelle opinioni non le condivido, come è noto; e non ho minimamente cambiato idea. In un nuovo caso Englaro, porterei di nuovo la mia bottiglietta d'acqua disperata sul sagrato del Duomo. Penso che la via della legge, lastricata di buone intenzioni e ponderata da vescovi e parlamentari di cui in linea di principio mi fido, sia contraddittoria e inefficace. Ho spiegato perché questa è la mia ferma convinzione, ma da subito, da quando partì l'idea stessa della legge. Ripeto che per me il conflitto intorno alla ragazza disabile spenta a Udine da mano ideologica, come era avvenuto per Terri Schiavo, era tra carità e diritto. Essendo dati acquisiti la libertà di cura e l'autonomia della persona, cose diverse dall'autodeterminazione che è proclamazione - quella sì empia - di radicale immanentismo e di transumanesimo. Penso che il diritto debba tenersi alla larga dalla zona grigia, tra vita e morte, in cui si decidono i destini personali finali, che vanno affidati come sempre è stato alla imperfetta ma santa interazione di individuo e comunità, Posso sbagliare, ma la legge mi sembra portatrice di guai seri. Punto.

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