Lettera morta la legge per la trasparenza nei contratti della Tv

Dalla Rassegna stampa

 

Il sito internet creato appositamente dalla Rai (www.contrattidiconsulenza.rai.it) è di una povertà francescana: un’unica pagina bianca con il logo della televisione di Stato. Più in basso due righe in carattere minuscolo: «Lavori in corso - Contratti di consulenza Rai. A breve sarà disponibile la documentazione relativa». «A breve», naturalmente, è un concetto del tutto relativo, visto che la pagina è identica dal 2007.
In questi tre anni e con quel sito la Rai avrebbe dovuto applicare una legge, la numero 244, approvata per l’appunto 36 mesi fa, che doveva, una volta per tutte, rendere trasparenti i contratti della tv di Stato con fornitori esterni. Contratti di tutti i tipi. E tanto per capirci anche quelli legati agli incarichi affidati da Raiuno alle società che fanno capo (per il 51%) a Francesca Frau, madre di Elisabetta Tulliani, compagna di Gianfranco Fini.
Come capita sempre nel Paese delle grida manzoniane le norme sono nella loro formulazione severissime: ogni contratto di consulenza stipulato con enti pubblici o equiparati dovrà essere pubblico. Non solo: «Nessun atto comportante spesa, ai sensi dei precedenti periodi, potrà ricevere attuazione se non sia stato previamente reso noto, con l’indicazione nominativa dei destinatari e dell’ammontare del compenso attraverso la pubblicazione sul sito web dell’amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al governo e al Parlamento».
Durissime le sanzioni: in caso di violazione, tutti gli enti pubblici, Rai compresa, e gli stessi consulenti sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma paria 10 volte l’ammontare della somma illegittimamente erogata».
Ricapitolando: il legislatore ritiene che i consulenti della Rai e le somme da essi ricevute debbano essere pubblici; che se non resi pubblici i contratti non possano essere attuati; che se attuati espongano i consulenti a una multa pari a 10 volte i compensi incassati. Tutto molto chiaro e ammirevole. Se non fosse che, approvata la legge, creato il sito, tutto è rimasto lettera morta. All’inizio del 2008 l’Aduc, un’associazione di consumatori, ha presentato un esposto alla Corte dei conti. Quest’ultima ha aperto una doverosa indagine (di cui, peraltro, si sono perse le tracce). Qualche tempo dopo Donatella Poretti, senatrice radicale eletta nel Pd, ha presentato un’interrogazione in cui citava l’imbarazzata risposta di Nino Rizzo Nervo, consigliere della Rai, a un giornalista di Radio 24 che gli ricordava l’obbligo di legge e l’inadempienza della tv pubblica: «Lei mi dà una notizia che non conoscevo, io credevo che avesse già messo... francamente non lo sapevo, mi trovo impreparato, posso informarmi... ». Il colloquio è del 25 febbraio 2008. Da allora nulla è accaduto.
Capita così che quando nei giorni scorsi è emerso, prima grazie a Dagospia, poi al Giornale, che la società della signora Frau, «suocera» di Fini, ha un contratto da un milione e mezzo di euro con il primo canale Rai, diretto dall’ex giornalista Mauro Mazza e vicino al presidente del Camera, l’indignazione si è sprecata. Contro il Giornale, naturalmente. In tanti hanno parlato di attacco alla famiglia dell’ex leader di An, di strumentalizzazione, di killeraggio. Nessuno (salvo la già menzionata senatrice Poretti che con un intervento a Palazzo Madama ha ricordato la sua interrogazione di due anni prima), ha citato le ragioni di trasparenza che avevano motivato un intervento del legislatore. Nessuno ha provato a immaginare cosa sarebbe successo se, per esempio, al posto della «suocera» di Fini, ci fosse stata quella di Schifani. O cosa sarebbe successo se la Rai avesse obbedito alla legge, con il nome della «suocera» di Fini automaticamente pubblicizzato via internet.
La legge, però, c’è. E bisognerebbe pure applicarla. Se ne vedrebbero delle belle.

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