Lettera - Le molte mine del governo sul sentiero del referendum

Cara Europa, dalle rassegne stampa ho saputo che Di Pietro presenterà lunedì in Cassazione, mentre i seggi si chiudono, una richiesta di revisione dei calcoli elettorali. Sembra infatti che dal voto degli italiani all'estero dipenderà l'esito del referendum: saranno i nostri connazionali o ex connazionali in nuova Zelanda e in Alaska a decidere se dobbiamo conservare l'attuale legislazione su gestione delle acque, centrali nucleari, e diseguaglianza del premier e dei ministri dai normali cittadini in sede processuale. Ma è possibile che ogni volta che c'è un referendum scatti questa trappola degli italiani all'estero? Perché negli altri paesi del mondo civilizzato il referendum lo vince chi va a votare, mentre in Italia ormai lo vince chi non ci va?
Elisabetta Ferro, Piacenza
Cara signora, la notizia del ricorso in Cassazione è in un'intervista di Di Pietro a Repubblica,
ieri mattina. A me, semplice ex studente di diritto e con una laurea ormai andata in prescrizione - come diceva Andreotti della sua -, il ricorso sembra più che fondato. Il corpo elettorale italiano è composto di 50 milioni e mezzo di cittadini: 47 milioni e 350 mila risiedono in patria e 3 milioni e 237 mila all'estero. Come forse ricorderà, in ogni consultazione a carattere nazionale (parlamento, referendum), i residenti all'estero cominciano a votare qualche settimana prima, per consentire ai consolati di raggiungerli negli angoli più sperduti del pianeta. Problema: siccome il quesito sul nucleare è stato modificato dopo il decreto omnibus e connesso imbroglio del governo per far dichiarare superato il referendum, i voti per il sì e per il no espressi sulla base del vecchio quesito saranno annullati o equiparati a quelli che esprimeremo sulle nuove schede, visto che la sostanza non cambia? Se venissero annullati (o meglio considerati non votanti) l'esito del referendum sarebbe alterato. Infatti il corpo elettorale votante verrebbe scorporato di quelli che hanno già votato, ma il livello del quorum continuerebbe a venir calcolato sulla base di tutti gli aventi diritto, che, le ripeto, sono 50 milioni e mezzo. Ma così il 50,01 per cento diventerebbe 55 per cento e più. Sono queste le leggi truffaldine che fanno i deputati e i senatori nella patria del diritto.
L'Italia è il solo paese, tra quelli che hanno dato al cittadino la scheda referendaria (cioè di democrazia diretta) insieme a quella per le elezioni (politiche, europee, amministrative) che glie l'abbia ritolta con un quorum cresciuto via via che cresceva il corpo elettorale. Pensi che al tempo del primo referendum, monarchia-repubblica, il corpo elettorale fu di 25 milioni di votanti più qualche milione di schede annullate o trucidate nel tritacarte e negli inceneritori. Oggi il corpo elettorale è quasi raddoppiato. Da anni si invoca di abolire il quorum, affinché vincano i cittadini che sentono, come Napolitano, il diritto-dovere di votare; e innalzare da 500 mila a 1 milione il numero delle firme per richiedere i referendum nazionali, per limitarli ai temi più rilevanti.
Non abbiamo rimedi al non governo e al mal governo. Marco Pannella ha fatto 45 giorni di sciopero della fame, che nessuno s'è filato, perché l'Italia esca dalla "peste" e torni alla democrazia. Possiamo solo intensificare in queste ultime ore il porta a porta; andare a votare in massa domenica mattina, altrimenti il ministero dell'Interno comunica che le percentuali sono bassissime e gli elettori si scoraggiano; evitare di ritrovarci lunedì sera col Piano strategico dell'energia (25 per cento di energia nucleare) nel cortile di casa: ultima fregatura dopo quella del voto a giugno, quando molte famiglie sono al mare, quella sulla disinformazione Rai (l'Agcom l'ha richiamata all'obbligo di legge solo qualche giorno fa), quella dei marchingegni governativi fino alla corte costituzionale per non farci votare. Il tutto, buttando 400 milioni di euro per pagare il referendum, non avendo voluto abbinarlo alle elezioni amministrative. Votiamo, non diamogliela vinta.
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