Lettera - La maledizione dell'Aventino

Caro Colombo, da quando, per un paio d'ore, i deputati delle opposizioni hanno lasciato l'aula e si sono rifiutati di fare da pubblico al discorso di Berlusconi (salvo i cinque Radicali) si ripete che questo è un nuovo Aventino e che l'Aventino è una cosa vergognosa, qualcosa da non ripetere. A me risulta che dire "Aventino" vuol dire: deputati democratici hanno rifiutato di restare nella stessa aula dei fascisti. Dov'è la vergogna?
Caterina
C'è una storia sotto la storia. E non è la famosa analogia con la secessione della plebe di Roma (494 a.C.) per protesta contro l'intrattabile egemonia dei patrizi. E non è neppure il continuo richiamo all'uscita dall'aula dei deputati antifascisti nel 1924 (sono rimasti fuori da giugno al gennaio successivo dopo il delitto Matteotti, e hanno fatto bene). È la storia di coloro che, in tutti questi anni, hanno continuato a dire che è buona cosa lavorare "insieme" in Parlamento, perché le leggi sono comunque a beneficio dell'Italia. Visto il disastro con cui si sta concludendo il tragico periodo berlusconiano, si direbbe che la persuasione di non dover collaborare mai (ispirata anche dal comportamento delle opposizioni di altri paesi democratici) aveva un solido fondamento, anche a causa della estesa estraneità alla legge e alla legalità di Berlusconi e alle molte persone ricercate dalla magistratura nella maggioranza e nel governo. Se poi si pensa al "pacchetto sicurezza" di Maroni, ai "Centri di identificazione ed espulsione", al Trattato di fraterna amicizia con la Libia di Gheddafi, alle impronte digitali ai bambini Rom, alla legge sulla procreazione assistita che costringe alla fuga all'estero, al divieto di normale e civile testamento biologico o di legalizzazione delle coppie di fatto (questa è solo una minima lista, a cui mancano tutte le leggi vergogna, i processi lunghi, i processi brevi, le prescrizioni modellate sui processi di Berlusconi) ci si rende conto che non si poteva, non si può prestarsi alla collaborazione, mai. Vorrei essere chiaro: non sto discutendo - non qui, non adesso - la decisione dei Radicali, che, comunque si giudichi il loro gesto, hanno deciso per sé, non per gli altri, e non hanno cambiato la scena né il voto contro, con il loro gesto. La scena, esecrata da tutti, è "il disastro" o "il fallimento dell'Aventino", detta e ripetuta da politici e giornalisti, dimenticando, per esempio che la cangiante coalizione berlusconiana non ha mai avuto esitazioni ad abbandonare tranquillamente l'aula della Camera, del Senato, o entrambe, varie volte durante i decenni berlusconiani, senza sollevare alcuna paragonabile reazione: zitti e buoni i giornalisti, poco scandalizzati i sempre troppo calmi politici dell'area prodiana. La destra di Berlusconi è arrivata a disertare in massa l'aula (assieme alla Lega) nel giorno del voto finale per l'ingresso italiano nella moneta unica. Eppure, tranne un mio articolo su Repubblica, non ricordo né scandali giornalistici né indignazione politica, né grida di Aventino. Ero per la prima volta in Parlamento e i miei colleghi più anziani mi hanno spiegato che "a volte si fa, è un gesto dimostrativo". Forse sarebbe meglio tenere conto del "pregresso" un po' meno remoto del 494 a.C. e del 1924 dell'era fascista, prima di parlare di "fallimento" o "disastro dell'Aventino" solo per la decisione di restare fuori dall'aula di Montecitorio mentre Berlusconi, subito prima di addormentarsi al Quirinale, presentava ai pochi presenti il suo non discorso, 16 minuti vuoti, e 12 sbadigli del fedele alleato Bossi.
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