Lettera - Ci liberiamo (finalmente) di Freud?

Se persino il neopresidente della Società psicoanalitica italiana, Nino Ferro, dice che servono idee diverse da quelle di Sigmund Freud, «altrimenti diventa un culto». Se Massimo Fagioli, inventore dell’Analisi collettiva, sostanzia questo superamento da più di quarant’anni (quando ebbe a dire il famoso «Freud? Un imbecille») con la sua Teoria della nascita. Ecco: forse si può finalmente voltare pagina e pensare alla cura della psiche umana “per la guarigione”, senza ridurla a una confessione religiosa per annoiati benestanti (e per cui, come direbbe Michel Onfray, basta un tassista)? Una nuova lettura in tal senso è il Dossier Freud di Mikkel Borch-Jacobsen e Sonu Shamdasani, appena tradotto in Italia: i due studiosi, nel raccontare la “storia” di Freud dalla autobeatificazione del 1916 ai residui del freudismo contemporaneo, demoliscono la “leggenda” della psicoanalisi. Concludendo che ormai nemmeno «ha molto senso “uccidere” Freud… o proclamare un’altra “guerra freudiana”… Ironicamente, una simile operazione servirebbe solo a continuare a dare vita e identità alla psicoanalisi, mentre si potrebbe dire che questa, in un certo senso, non esiste più – o piuttosto, non è mai esistita»; e che anzi si dovrà «fare spazio ad altre mode culturali, altre modalità d’interazione terapeutica, continuando e rinnovando l’antico rituale d’incontro paziente-dottore». Fosse la volta buona?
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