Lettera - Hanno ragione i ragazzi che temono la moschea

Cara Europa, vi scrivo, con un nome di fantasia, per informarvi della rivolta anticonformista di un liceo di Parma. Qui una classe di un liceo ha rifiutato una professoressa che aveva accolto l’appello di tal Luciano Mazzoni, coordinatore del Forum interreligioso di Parma, a visitare i luoghi dei vari culti presenti in città. «Noi nella moschea non veniamo, abbiamo paura», hanno replicato gli studenti. Quel che mi turba sono le parole («Una doccia fredda, un fatto gravissimo») con cui lo zelantissimo Mazzoni ha commentato il rifiuto degli studenti: quasi che in Italia ci fosse ancora l’obbligo fascista-concordatario del “precetto pasquale” obbligatorio per gli studenti: quando, anche in anni post-fascisti, ci mettevano in fila e ci portavano in chiesa per un rito che molti non avrebbero scelto di compiere. Che ne dicono le autorità giudiziarie e di polizia, i nostri governanti tecno-cattolici, i politici in genere?
F.O.
Caro amico, le nostre autorità, anche non tecniche, se ne fregano se sono in gioco diritti civili, il cui esercizio potrebbe urtare la suscettibilità dei gerarchi delle varie religioni. Forse è per questo che qualche anno fa l’ambasciatore Sergio Romano pubblicò un libro dal titolo sarcastico: Libera Chiesa. Libero Stato? (Longanesi). Da sempre io rispondo di no, da quando qualche presidente della repubblica, a cominciare dal secondo, Gronchi, fu ritratto inginocchiato davanti al papa, da cui s’era recato non da cattolico, ma da capo dello stato.
I ragazzi di Parma hanno la mia (personale) totale solidarietà. Aver paura della “moschea” è un’espressione infelice (io ci ho provato, non solo a Roma, dov’è particolarmente bella, ma in tutto il nord Africa, dal Marocco all’Egitto, attratto dalla magnificenza dell’architettura e delle decorazioni). Ma aver paura di chi frequenta le moschee, una minoranza di musulmani, è legittimo, pensando che c’è una minoranza di quella minoranza che predica e pratica la violenza. Pensando al massacro dei diritti civili che fanno nei loro paesi in nome della religione, perfino nei paesi che si dicevano “socialisti” e laici come la Tunisia, e che stanno ripiombando nella notte dello stato-religione. Pensi alla laureata ventisettenne sorpresa in macchina col suo ragazzo, stuprata da due poliziotti, che è riuscita a far arrestare, ma è finita a sua volta sotto inchiesta per offesa al pudore e «oscenità premeditata e ostentata». Secondo i poliziotti stupratori e i magistrati sodali, c’era una «certa quantità di coscia visibile». Donde l’esigenza di misurare la gonna e stabilire il limite di esponibilità della coscia, sia pure in macchina.
Insomma, alla dittatura “socialista” la primavera araba ha sostituito la democrazia della coscia coperta, con un salto culturale di cui forse il signor Mazzoni (che nessuna parrocchia di Parma, mi dicono, ha voluto ospitare), potrebbe fornirci particolari. Ecco perché le donne stanno conducendo l’offensiva dei seni nudi, con la solidarietà degli uomini liberi, nei paesi dell’Est europeo dominati da autocrazie postcomuniste. Il mondo, caro amico, è in recessione, fame e guerre potrebbero riceverne ulteriori incentivi, e c’è chi si preoccupa di far conoscere agli studenti le intolleranze in nome della fede. Quasi quasi meglio il parlamento italiano, dove si discute, per opposto conformismo, di quote rosa, come se valorizzare le donne nella società fosse un fatto di numeri e non di cultura generale del progresso.
(Post scriptum: forse è inutile ricordarle che nelle regioni “arabe” del nostro paese, fino a qualche tempo fa, era d’uso fra gli stupratori invocare la provocazione femminile. Uso non del tutto scomparso, per connivenza delle famiglie e anticaglie di tribunali).
© 2012 Europa. Tutti i diritti riservati
SU