Lettera - Chiedo solo risposte certe: un si o un no

Dalla Rassegna stampa

Abbiamo passato gli ultimi tre mesi, da quando la Fiat ha annunciato i contenuti e gli obiettivi di Fabbrica Italia, tra scioperi, cortei, commenti e dichiarazioni da ogni parte. E temo che potremo andare avanti all'infinito in questo modo. C'è solo una cosa su cui è necessario pronunciarsi. Ed è decidere se vogliamo aggiornare il nostro modo di produrre oppure rimanere tagliati fuori dalle regole della competizione internazionale. Dobbiamo decidere se avere una forte industria dell'auto in Italia oppure lasciare questa prerogativa ad altri paesi. Non servono fiumi di parole per questo. Ci sono solo due parole che, al punto in cui siamo, richiedono di essere pronunciate. Una è «sì», l'altra è «no». «Sì» vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana per darle la possibilità di competere. «No» vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui a essere inefficiente e inadeguato a produrre utili e quindi a conservare o ad aumentare i posti di lavoro. La scorsa settimana, il consiglio di amministrazione della Fiat ha approvato i risultati del secondo trimestre. Si tratta di risultati che hanno sorpreso il mercato e che ci permetteranno, alla luce dell'andamento del terzo trimestre, di rivedere al rialzo gli obiettivi per l'anno. Quello che non è noto è che l'unica area del mondo in cui l'insieme del sistema industriale e commerciale del Gruppo Fiat è in perdita è l'Italia. Lo è stato nel primo semestre di quest'anno e anche in tutto il 2009. E quando si perde non si possono distribuire premi sui risultati perché l'utile del gruppo proviene dal resto del mondo e non dall'Italia. "Fabbrica Italia" è nata per cambiare questa situazione e per sanare le inefficienze del nostro sistema industriale. "Fabbrica Italia" è stata una nostra iniziativa, perché - da azienda multinazionale che opera e gestisce attività industriali in tutto il mondo - conosciamo bene la realtà che sta al di fuori del nostro paese e la qualità della concorrenza. Non tutte le imprese hanno la possibilità di poter contare su un'esperienza internazionale così ampia. Da qui nasce la volontà di aggiornare il metodo operativo negli stabilimenti italiani e di adeguarli agli standard necessari per competere. Abbiamo definito le condizioni indispensabili per rendere concreto questo progetto. Sarebbe stato molto più semplice - e anche molto più economico - guardare ai vantaggi sicuri che altri paesi possono offrire. La corsia per venire in Italia ad aprire un nuovo insediamento è drammaticamente vuota. Questa è la verità. La verità è che la Fiat è l'unica azienda disposta a mettere 20 miliardi di euro in Italia. Una cifra che equivale quasi alla Finanziaria di cui si sta discutendo in questi giorni. Siamo l'unica impresa che ha deciso di investire in questo paese in modo strutturale. La sola cosa che abbiamo chiesto è di avere più affidabilità e più normalità in fabbrica. Da qualcuno ci siamo sentiti rispondere che stiamo ricattando i lavoratori, violando la legge o addirittura la Costituzione. Non voglio più commentare assurdità del genere. Se questo è un gioco politico, la Fiat non può e non vuole farne parte. Noi non stiamo agendo come soggetto politico e non abbiamo nessuna intenzione di farci coinvolgere. Abbiamo solo bisogno di chiarezza: o «sì» o «no». Qualunque sia la risposta, la Fiat è disposta a gestire entrambe le scelte. Siamo un'impresa internazionale che, grazie al lavoro fatto negli ultimi anni, è capace di modellare le proprie strategie industriali di fronte a qualunque circostanza. Se scegliamo la strada del «sì», deve essere un «sì» definitivo e convinto. Se la maggioranza decide di andare avanti su questo progetto non ci possono essere nuovi ostacoli ogni giorno. Se si firma un accordo con la maggioranza delle organizzazioni sindacali, l'accordo deve poi essere rispettato da tutti, senza distinzioni. In democrazia funziona così e nessuna industria è in grado di sostenere un modello diverso. Rispettare un accordo è un principio sacrosanto di civiltà. Prima di partire con il piano, dobbiamo essere sicuri di poter gestire gli impianti, di rispondere nei tempi e con le condizioni richieste dalle regole della competizione internazionale. Dobbiamo avere la garanzia, ferma e assoluta, che gli stabilimenti possano funzionare. Chiedo solo la certezza di poterlo fare. Decidere di portare la nuova Panda a Pomigliano non è stata una scelta basata su principi economici e razionali. Non era - e non è - la soluzione ottimale da un punto di vista puramente industriale o finanziario. Sarebbe stato molto più conveniente lasciare le cose come stavano e confermare la futura Panda in Polonia, dove è stata prodotta negli ultimi sette anni con livelli di qualità eccezionali. Lo abbiamo fatto considerando la storia della Fiat in Italia, quello che da sempre rappresenta e il rapporto privilegiato che ha con il paese. La trattativa che ne è scaturita è stata lunga e incerta e a volte ha preso delle pieghe assurde. Durante questo periodo - che ancora non ha visto la fine - abbiamo dovuto prendere una decisione su dove allocare il futuro modello Lo per il marchio Fiat. Assegnarlo a Mirafiori, come era stato anticipato a dicembre nell'incontro di Palazzo Chigi, era una delle tante possibilità sul tavolo. La scelta che abbiamo fatto di portarlo in Serbia è nata considerando i tempi stretti che avevamo a disposizione per iniziare i lavori e adeguare le linee di produzione. Il progetto doveva partire al più presto, sia per ragioni commerciali sia per ragioni industriali. Avevamo la necessità di scegliere un impianto che ci desse la garanzia di rispondere alle esigenze del mercato. Considerando le incertezze in cui si trovava - e ancora si trova - il sistema italiano, era impossibile pensare d'impostare questo lavoro in Italia, rispettando le tempistiche richieste dal progetto. (...) Vorrei concludere con la stessa riflessione e lo stesso invito che ho rivolto a chi era presente a dicembre dello scorso anno a Palazzo Chigi. Capita di rado nella vita che ti venga data una seconda chance. La crisi che si è abbattuta sul settore dell'auto ha fatto vittime illustri. La colpa di molti costruttori è quella di non aver reagito - per incapacità o per inerzia – a un mondo che è totalmente cambiato. La colpa è quella di non aver avuto le risorse o il coraggio per affrontare i problemi alla radice. Purtroppo è arrivata la resa dei conti. Ma non è così per la Fiat. E non è così per la Fiat in Italia. Noi oggi - grazie anche all'accordo con Chrysler - abbiamo una seconda possibilità. Possiamo ricostruire una base industriale forte nel nostro paese. Abbiamo le spalle sufficientemente larghe per sanare quegli handicap produttivi che per troppo tempo ci hanno fatto apparire inefficienti in confronto ad altre nostre realtà all'estero. Possiamo creare le condizioni per qualcosa che non abbia sempre bisogno d'interventi d'emergenza. Qualcosa che sia solido e duraturo, da cui partire per immaginare il futuro. Abbiamo l'opportunità di costruire una rete industriale in Italia che sia in grado di aumentare in modo significativo gli attuali volumi di produzione. Non sprechiamo questa opportunità. La sfida è possibile unendo le forze, le intelligenze, le risorse. Lo è dividendo i compiti, i sacrifici e le responsabilità. Vorremmo che, per una volta, fosse l'Italia a diventare l'esempio di come questi cambiamenti si possono realizzare con successo.

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