Lettera - Bisogna ridurre il numero e le finanze delle regioni

Cara Europa, in questi giorni, si è ripreso a parlare di macroregione del Nord. Prevedo che seguirà la macroregione del Centro e quella del Sud: come sosteneva Gianfranco Miglio, il politologo teorico della Lega, un paio di decenni fa. Io ero contro Miglio e credo anche voi, e continuo ad esserlo. Ma i fatti di questi decenni, in aggiunta a quelli dei precedenti, hanno fornito ragioni ulteriori e definitive per cancellare l’attuale ordinamento delle regioni, riscrivendone nella Costituzione numero e competenze. Libereremmo l’Italia dal maggior fomite di corruzione mai inventato.
Leonardo Benzi, Milano
Caro Benzi, appena qualche giorno fa, Europa ha scritto un articolo in prima pagina intitolato, più o meno, «Via il Titolo V»: un appello al Pd perché nella nuova legislatura si adoperi a correggere quell’errore (del centrosinistra) che fu la riforma, dodici anni fa, dei poteri regionali, estesi al limite del federalismo: ma senza successivo federalismo finanziario e senza riordinamento della carta geopolitica d’Italia. Gianfranco Miglio, col quale ho discusso molto nella sua villa sul lago di Como durante i miei anni milanesi, ipotizzava le tre macroregioni (Padania, Etruria e Sud) allo scopo di favorire il progressivo allontanamento della Padania dall’Italia peninsulare e integrarla, col suo dinamismo e la sua cultura della concretezza operosa, nell’Europa; e sia pure l’Europa austro-bavarese (che è il Sud della Germania). Il gioco era scoperto e il centrosinistra tentò di contrapporvi, in nome dell’unità nazionale, i superpoteri alle regioni, con drastica riduzione di quelli centrali.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti, manca solo un piano di edilizia carceraria ad hoc. Ora la Lega rilancia l’unità del Nord come “regione d’Europa”. Ma io credo che tutte le regioni dovrebbero essere concepite disegnate e strutturate come regioni d’Europa, essendo quella europea la nostra nuova dimensione civile. La ristrutturazione comporta quel federalismo finanziario che costringe i governi regionali a vedersela direttamente con i propri abitanti, ossia “Vuoi la bicicletta, pedala”: salvo le figuracce alla Catalogna, che fra sogni di indipendenza e snobberie si rivolge poi a Madrid per soccorso. Ma prima del federalismo finanziario c’è da cancellare un buon terzo delle 20 regioni, e fare come la Francia, che con popolazione uguale alla nostra di regioni ne ha ridisegnate appena 15, su criteri geo-economici. Già un’altra volta ho ricordato la necessità di unificare Marche, Abruzzo e Molise in un’unica Regione Adriatica; di ricostituire, com’era prima della repubblica, il Triveneto (oggi frazionato in due regioni, Veneto e Friuli-VG, e in due sottoregioni Trentino e Sud Tirolo-AA). Come vede, di sette regioni se ne farebbero due. Per non parlare della Valle d’Aosta da rimettere col Piemonte, della Basilicata da unificare con la Puglia. E da 20 saremmo a quattordici.
Non serve ridurre il numero dei consiglieri se non si rinuncerà una volta per tutte alle albagìe localistiche. Discorso anche più drastico per le province, alcune delle quali, credo Roma e Milano in testa, stavano già pensando di costruirsi grattacieli dai quali svettare con labari e pennacchi, proprio mentre l’«ente inutile» (definizione del vecchio La Malfa) è in discussione per la sua stessa sopravvivenza o, al massimo, per sopravvivere con numero e poltrone dimezzati. E infine risanare i comuni, aggregando quelli sotto i 5000 abitanti in un unico “comune diffuso”. Queste cose vanno fatte nella prossima legislatura. Ma i programmi del centrosinistra per le elezioni debbono contenerne almeno le linee generali, oggi che lo strangolamento delle tasse e i furti di denaro offrono la base per unire cittadini e stato in una grande riforma pacifica.
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