Lettera - Le battaglie radicali i disabili e la politica

Dalla Rassegna stampa

Scrivo in relazione al suo articolo intitolato «Il ricatto della disobbedienza incivile» (la Lettura, 19 febbraio), che non ha potuto non suscitare la mia attenzione, in quanto persona con disabilità e co-presidente della Associazione Luca Coscioni, associazione costituente il Partito radicale, che come slogan ha «dal corpo dei malati al cuore della politica». Il punto del suo scritto, dove si riferisce agli usi impropri degli handicap fisici che sarebbero oggetto dell’agire radicale, ha stimolato una riflessione: con-vivo da 59 anni con la disabilità che porto a testimonianza, convinto che sia più pertinente al tema di tante congetture generali. Credo che ogni considerazione sulla sua supposta strumentalizzazione della disabilità derivi da una cultura incentrata sul disvalore del corpo di noi disabili. Nell’azione dei due indiscussi leader radicali, come Luca Coscioni e Piero Welby, a prescindere da giudizi di merito delle loro battaglie civili, vi è di fondo una portentosa rivalutazione laica dei corpi di disabili, dei nostri corpi di disabili, o meglio di quello che possono veicolare, in netta controtendenza a una continua svalutazione dei corpi anomali e fuori standard dei disabili. Tale disvalore culturale millenario della disabilità ha ingenerato, a livello soggettivo di noi disabili, un’autopercezione molto negativa del nostro corpo e, quindi, delle nostre persone, che spesso è più deleteria e dura da superare, rispetto alle oggettive limitazioni connesse alle nostre disabilità, che, al contrario, grazie a speciali accorgimenti propri del progredire delle scienze, si possono colmare. Non mi piace sentirmi un martire, preferisco essere un militante politico: io, Luca, Piergiorgio e tante altre persone con disabilità abbiamo scelto, non ci hanno chiesto, di usare il nostro corpo per rivendicare diritti civili, per scendere nella trincea della battaglia politica. Siamo noi che abbiamo scelto lo strumento della lotta politica. Noi usiamo la politica là dove lo Stato latita, là dove occorre pretendere il rispetto dei diritti. Luca Coscioni scrisse: «C'è, però, una cosa che non mi è stata mai detta direttamente: povero handicappato, sei stato strumentalizzato». Apprezzo il suo coraggio nell’aver tradotto in altre parole questo messaggio. Ma le do una bella notizia: non è così. Il mio corpo non ricatta nessuno. Il mio corpo lotta e basta.
Gustavo Fraticelli , valeangelastella@gmail.com

Caro Fraticelli, Non mi è mai passato per la mente di «svalutare» il corpo del disabile. Quando si battono per la loro dignità, chiedono di non essere esiliati ai margini della vita sociale ed esigono di essere trattati come cittadini, i disabili hanno il diritto di pretendere la solidarietà dei loro connazionali. Il problema discusso nel mio articolo è l’uso politico delle loro personali vicende. I radicali ricordano, con ragione, che l’iniziativa non fu presa dal loro partito, ma fu di Piergiorgio Welby e Luca Coscioni. È vero, e posso umanamente comprendere che entrambi desiderassero dare maggiore visibilità alle loro battaglie. Ma un partito politico, in ultima analisi, è sempre responsabile delle proprie scelte, anche quando gli sono suggerite da altri. In questo caso i radicali hanno elevato Welby e Coscioni a icone delle loro battaglie, hanno introdotto un elemento emotivo e spettacolare nel dibattito politico, hanno cercato di commuovere anziché di convincere, hanno reso più difficile il confronto argomentato e dialettico su temi importanti come quello del suicidio assistito e del testamento biologico. So che il ricatto delle emozioni è l’arma a cui ricorrono, prima o dopo, tutti i partiti politici. Mi è spiaciuto vederla nelle mani di un partito laico e liberale.

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