Lettera - Balduzzi e gli affari sporchi dietro il gioco d’azzardo

Cara Europa, dare una bella ramazzata al vasto mondo del gioco d’azzardo, come aveva provato a fare il ministro della salute Balduzzi (mettendo insieme bollicine, flipper e bingo e lotti vari) si rivela più difficile che far pagare l’Imu alla Chiesa. Vedremo cosa resterà in concreto del disegno di legge del ministro, dopo i tagli e i ripensamenti dovuti al fuoco di tutti gli interessi, compresi quelli più loschi: che danneggiano padri e madri di famiglia e figli, soprattutto giovani, distogliendoli dallo studio e da altri impegni ed “educandoli” a concepire la vita come un gioco d’azzardo. Purtroppo, anche i concorsi banditi dallo stato, vedi l’ammissione alla facoltà di medicina, coi loro quiz, sono un aspetto di quanto sia radicata e ormai diffusa la cultura dell’azzardo.
Romeo Del Rosso, Napoli
Caro Del Rosso, più di un anno fa, abbiamo dedicato almeno un paio di queste lunghe risposte alla questione del gioco: avevamo infatti ascoltato in diretta dal senato un amplissimo dibattito bipartisan sulla proposta di legge Li Gotti e altre, che, se fossero state votate, avrebbero risparmiato al ministro Balduzzi il tentativo, difficile e in gran parte respinto, di riprendere il discorso etico-sociale-fiscale sul gioco, visto come “ludopatia”: cioè malattia del gioco, in qualche modo attinente alle competenze del ministro della salute. L’obbiettivo del decreto – subito ribattezzato “decreto delle bollicine” per dequalificarlo e quasi irriderne il significato – ha (aveva) lo scopo di colpire, sulla scia di quanto è stato fatto contro il fumo e si fa per opporsi alle droghe, una serie di cose che fanno male alla salute, e non solo dei giovani.
Chiunque sia stato qualche giorno di luglio o agosto su spiagge attrezzate con bar, avrà visto frotte di infanti, di under e anche di over, gonfiarsi con acque colorate frizzanti e dolcificate, che in teoria dovrebbero dissetare. E non si bada certo alla frode commerciale di chi le produce, inserendovi quantitativi di succo di frutto inferiori a quelli dichiarati. Ora il ministro, respinto nella sua lotta frontale alle bollicine (come all’installazione di videogiochi) si è consolato ribadendo che quel succo non potrà essere inferiore al 20 per cento del contenuto: ma io ricordo da decenni “gride” di questo tipo, e non credo che abbiano sortito grandi effetti: non solo per la disonestà di alcuni produttori, ma per l’infingardaggine di milioni di babbi e mamme, che crescono a questo modo i loro figli, costruendo orizzonti sempre più rosei per loro salute e per le finanze del sistema sanitario.
Idem per i videoflipper, tanto che in un paese deresponsabilizzato come l’Italia non si riesce nemmeno a imporre d’installarli a non meno di 500 metri da luoghi di aggregazione (scuole, chiesa, campi sportivi, ospedali). Evviva il paese delle ludopatie, di giovani e di vecchi (qui, a differenza che in politica, non ci si fa problemi di generazione: tutti sono i benvenuti, l’importante è che dissanguino i loro portafogli e i loro cervelli, fino all’abbrutimento totale). Ha scritto la psichiatra dell’università di Parma, Marazziti, che attraverso la globalizzazione i bookmakers internazionali sono arrivati a puntare anche su corse di cani, chissà come drogati e “trattati”. C’è chi dice che in Inghilterra si gioca più che in Italia, ma non vedo cosa ci sia di consolante. Anche perché poi gli inglesi distinguono, o distinguevano, tra cose serie e facete: «Gli italiani – diceva Churchill – fanno la partita di pallone come fosse una guerra e la guerra come fosse una partita di pallone». Si può dire altrettanto del lavoro, visto che, chi ha la fortuna di averne uno, spesso lo pratica con minore impegno di quel che riserva al flipper: tant’è che in questi giorni ci si chiede perché in Germania e altrove la giornata lavorativa sia meno lunga che da noi ma da noi renda di meno che in Germania. Bei consigli tecnici ha offerto a riguardo un articolo di Tito Boeri. Speriamo che qualche under o over non importa, ci dia anche bei consigli morali.
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