Lettera aperta a Stefania Craxi - Il contenitore vuoto di Nencini non ti merita

Cara Stefania, sull "'Avanti!" del 19 novembre 2003 scrivevi giustamente: "Ho sentito una volta mio padre dire che la storia della Italia repubblicana potrebbe leggersi come una eterna congiura contro il socialismo democratico". Ed è vero, ma un giorno Bettino mi disse che "molti nemici del socialismo vanno ricercati nel Partito socialista" e purtroppo anche questo è vero. Il socialismo, nato come partito nel 1892, ha avuto una serie di congressi esaltanti, ma anche, purtroppo, congressi che sono stati micidiali, ma in tutti i congressi anche chi aveva opinioni diverse ha sempre potuto parlare e sempre è stato ascoltato con attenzione. Come nel congresso del 1922 quando i riformisti di Turati furono messi alla porta, e per usare le parole precise della mozione che ha avuto la maggioranza in quel congresso: "Tutti gli aderenti alla frazione collaborazionista e quanti approvano le direttive segnate nel manifesto e nella mozione anzidetta, sono espulsi dal Partito socialista italiano". Vennero così espulsi la maggioranza dei compagni che avevano nel 1892 costituito il Partito, da Filippo Turati a Claudio Treves. Ma nonostante l'espulsione, prima di abbandonare il congresso, Filippo Turati chiede la parola e la ebbe, fra la commozione generale, per fare una dichiarazione di commiato: "Noi ci separiamo da voi egli disse - sarebbe più esatto dire, voi vi separate da noi. Ci separiamo da voi per questo strano voto sul quale potremmo fare tante riserve, ma non è per queste riserve che noi ci separiamo.
Non sapremmo separarci con la stessa baldanza con cui altri uscivano da Livorno cantando, ma forse costoro sapevano che presto o tardi sarebbero rientrati in questo partito. Mentre noi ce ne andiamo, rientra il comunismo. Vi lasciamo gridando 'Viva il socialismo' e pensiamo che questo grido potrà un giorno unirci anche nell'ora del sacrificio e del dovere". A Filippo Turati rispose Serrati: "Vi sono delle operazioni strazianti che possono tormentare e che pure sono necessarie. Noi oggi ne abbiamo compiuta una e il discorso di Turati ha dimostrato quanto l'operazione fosse necessaria. Ci separiamo dopo lunghi di lavoro comune, avendo dato al Partito, dall'una e dall'altra parte, affetti, lavoro, sacrifici ricordando il bene che abbiamo fatto assieme e sperando di lavorare ancora una volta uniti. Anche dopo la separazione, in un certo senso, noi resteremo unitari per il proletariato, per il fronte unico nazionale e internazionale. Ognuno al proprio lavoro: voi alla collaborazione, noi nella nostra critica assidua. Tutti per il proletariato e per la rivoluzione socialista". Abbandonarono il Partito, molti deputati, fra i quali Turati, Treves, D'Aragona, Modigliani, Matteotti, Morgari, Caldara, Todeschini, TiraBuozzi, Mazzoni, Pontemartini, Baldesi, Vacirca, Zaniboni (il futuro attentatore a Benito Mussolini) e uscirono fra gli applausi dei congressisti. Socialisti diversi, ma socialisti. La storia ha dimostrato che aveva ragione Filippo Turati e che forse se il Partito socialista avesse approvato la sua politica, si sarebbe risparmiato il fascismo e la tragedia della guerra. Socialisti diversi, ma socialisti. Non socialisti come quelli che al recente congresso del Psi, ti avevano invitato, cara Stefania, a partecipare e a parlare, ma poi te lo hanno impedito. In un altro congresso di lotta, quello di Roma del 1947, Giuseppe Saragat ha potuto parlare, esprimere le idee contrastanti con la allora maggioranza del Partito. Un caso come quello che ti è successo non ha precedenti nella storia del socialismo. Ma evidentemente il Psi di ora, il partito di Riccardo Nencini, non ha più nulla in comune con il socialismo che fu di Turati, che fu di Saragat e che fu di Craxi.
Ma quale era il testo del tuo dire? L'ho letto attentamente ed è solo un grido di fede nel socialismo e nella libertà. Penso sia importante che i lettori di questo giornale, di questo "Avanti!" che è stato fortemente voluto da tuo padre, ne conoscano il testo.
Eccolo: “Ho risposto positivamente all'invito del vostro segretario Riccardo Nencini a prendere la parola in questo Congresso ma non ho intenzione di fare un discorso di cortesia, non ne sarei capace. Dirò ciò che penso. Vi parlerò a lungo di Bettino Craxi perché è lì il punto della divisione, il nodo non sciolto che ha portato alla scomparsa del socialismo dalla scena politica italiana. Spero che la mia franchezza non offenda la vostra cortesia. Il vostro errore non è posteriore alla morte di Bettino; è congenito nell'atto di nascita del partitino di Boselli, Intini e Villetti, nel momento cioè in cui Craxi, ancora vivo ad Hammamet, è stato dimenticato, abbandonato, rinnegato. Craxi aveva preso in mano il partito quando il Psi aveva toccato il minimo storico della forza elettorale, quando l'intera socialdemocrazia europea, conquistato il 'welfare state', annaspava e indietreggiava non sapendo più quale meta additare. Craxi comprese che, raggiunte tutte le libertà sociali, il compito dei socialisti era quello di battersi per un ampliamento delle libertà individuali, per fare della massa operaia e dei ceti più deboli, cittadini con pari diritti rispetto alle classi privilegiate; e oppose la tradizione riformista rinverdita dai principi liberali allo stalinismo e alla massificazione della cultura marxista allora imperante. Craxi non era un teorico, ma un uomo d'azione. Quello che pensava lo metteva in pratica. Ricordo soltanto due principi che uniformarono tutta la sua opera: la persona prima dello Stato e la produzione della ricchezza prima della sua distribuzione: due principi in aperto conflitto con li credo comunista. Con queste considerazioni Craxi domò inflazione e recessione e portò l'Italia fra i Grandi della Terra, superando il Pil della Gran Bretagna, allora la quinta potenza economica mondiale. Ma il nuovo socialismo di Craxi si allargò in Europa: lo seguirono le nascenti democrazie di Spagna e Portogallo, la Grecia e lo stesso Tony Blair ha dichiarato di essere in debito con Craxi per il suo lungo governo in Inghilterra. Mani pulite non aveva colpito nulla di quella politica vincente; aveva solo distrutto fisicamente il partito. Ma quando Boselli riunì attorno a sé un gruppo di socialisti, non si ricordò affatto della lezione di Craxi preferendo, in omaggio ai tempi che vedevano in auge il comunismo di D'Alema e Veltroni, sollecitare la memoria morandiana dei partiti fratelli, il mai sopito unitarismo di De Martino quando non addirittura i bollenti spiriti del bertolismo. E poiché i socialisti, pur ridotti ai minimi termini, non sono mai stati graditi all'ex Pci, la conventicola di Boselli si è infilata in tutte le avventure immaginabili e possibili: è stata verde con Pecoraro Scanio, anticlericale con Pannella, clericale con Prodi, ma sempre ancorata a sinistra, sempre dimentica di Craxi, senza mai riflettere sulle ragioni per cui l'ottanta per cento dell'elettorato del Psi sia trasmigrato in Forza Italia. Quando vi siete ricordati di Craxi e della sua politica? Quando lo avete difeso dagli insulti che continuavano a piovere sull'esule di Hammamet? C'è stata una solo volta che avete ribattuto l'infamia comunista che il risanamento economico è stato fatto dilapidando i soldi dello Stato?
Per commemorare Bettino avete aspettato che parlasse con nobiltà e coraggio Giorgio Napolitano, nel decennale della morte; e avete invitato persone che rispetto a Craxi non hanno la coscienza a posto. Ma ora basta con le recriminazioni. Vi chiedo scusa se sono stata troppo impietosa, ma il socialismo è mio come vostro, mi indigna vederlo ristretto in panni vecchi e fuori moda. Ho letto i vostri documenti congressuali. Dire che sono inficiati di pessimismo è dire poco. È un vecchio vizio socialista quello di calcare la mano sulla situazione sociale, un vizio che Craxi aveva cancellato dalla propria agenda. Stride, poi, con le analisi di quella che dovrebbe essere la situazione italiana, la solenne affermazione che il futuro del socialismo è nella piena affermazione del riformismo liberale. Ma il riformismo, e ancora di più il riformismo liberale, non è la denuncia esasperata e faziosa di una società allo sbando e mal governata. Un partito riformista è un partito di ideali e di programma, ma se questo programma per necessità elettorali, deve essere concordato con forze decisamente antiriformiste, contrarie al metodo e ai contenuti più profondi del riformismo, si entra in una contraddizione che nega la vitalità del riformismo. Riformismo non è una parola generica di cui può appropriarsi chiunque progetti una riforma. IZ riformismo non è una ideologia e nemmeno una teoria politica.
Il riformismo è un'attitudine, è la disponibilità della mente e del cuore a misurare le idee di progresso con la realtà. Il riformista è responsabile, non predica 1 a cultura del tanto peggio ma fa, realizza, ha cultura del risultato. La storia del Novecento è ricca di riformisti pericolosi: Filippo Turati, nei primi anni del secolo, vince le resistenze massimalistiche nel Psi e con uno straordinario confronto-scontro con Giolitti e Zanardelli conquista, in piena rivoluzione industriale, diritti sociali e civili fondamentali per milioni di lavoratori, di donne, di bambini e con coraggio riformista seppe governare dall'opposizione. Giuseppe Saragat, nel dopoguerra, fra il Fronte Popolare e l'Occidente, fa la scelta più coraggiosa, più giusta e salva la democrazia in Italia. Walter Tobagi e Marco Biagi erano veri riformisti, pericolosissimi per gli equilibri ipocriti, settari, conservatori, di casta, di una parte consistente, del giornalismo e del sindacalismo italiano. Troppo pericolosi. Bettino Craxi era per Berlinguer addirittura pericoloso perla democrazia'. Craxi abbatté ogni tabù, disturba i vecchi concetti, combattei preconcetti; si batte per la grande Riforma dello Stato; rompe i poteri di veto in materia di lavoro e di sviluppo economico, collabora e compete con la Dcper il governo del Paese, fa installare i missili Pershing e Cruise, evento che accelera la dissoluzione dell'Impero sovietico; è amico degli americani ma spiega loro, con Sigonella, che l'Italia non prende ordini da nessuno; sostiene concretamente, sporcandosi le mani, appunto, i movimenti di liberazione di ogni parte del Mondo; propone all'Assemblea dell'Onu, primo statista nella storia, una strada per combattere la fame nel mondo e arrivare all'azzeramento del debito dei paesi poveri. Con Craxi il riformismo ha una coscienza rivoluzionaria e una pratica liberale. Pericolosissimo.
Il riformismo è coscienza rivoluzionaria e pratica liberale sia al governo che all'opposizione. Una forza riformista è consapevole che la nuova emergenza è quella di spostare risorse e stimolare investimenti sulla ricerca, sull'innovazione tecnologica, sulle infrastrutture per lo sviluppo e per la mobilità. Pensate che il governo e la maggioranza non sono all'altezza, non ne siano consapevoli? Bene, una forza riformista si limita a fare un congresso puntando sul dramma dei giovani senza lavoro, costretti quasi sempre a vivere a casa dei genitori fino ai trent'anni, affrontando un generico dibattito fatto di recriminazioni e belle intenzioni o con autentico coraggio riformista apre un serio, ferrato e costruttivo confronto con Berlusconi e il suo governo per affrontare il più grave problema sociale che abbia l'Italia di oggi e che investe la responsabilità non solo del governo, ma anche della scuola, dei sindacati, dell'industria e della famiglia? E così sulla giustizia. Vogliamo continuare a giocare a guardie e ladri, o si incalza il governo per passare dalle leggine alle leggi strutturali, per riorganizzare il sistema giustizia e ridisegnare il ruolo e le funzioni del magistrato che sommando su di sé troppo potere e nessuna responsabilità, inevitabilmente sconfina in campi non suoi, falsando così le regole della civiltà democratica? Io mi chiedo chi ascolterà la vostra voce.
Il tempo dei partitini è finito con il governo Prodi. Non vedo in tutta l'Europa astri sorgenti dal nulla. Il bipolarismo in Italia è molto più popolare nell'opinione pubblica che nel mondo politico dove le divisioni si riproducono anche lì dove sembravano immaginabili. Oggi stiamo sperimentando le difficoltà di governare anche con cento voti di maggioranza. Si sta riproducendo il clima dei primi anni Novanta quando i poteri forti, banchieri e finanzieri, la magistratura e la stampa muovevano all'attacco del governo. È a rischio la stagione delle grandi riforme, soprattutto la riforma della Costituzione - una Carta vecchia e obsoleta -proposta da Craxi fin dal '78, e questo mi angoscia. Un Paese che conta cinque milioni di imprese non si governa con un Parlamento dove i tempi di approvazione di una legge sono di mesi. Non si governa con un sistema bicamerale che sembra fatto apposta per mandare tutto alle calende greche e una pletora di parlamentari che si svegliano solo quando vi è l'assalto alla diligenza. Non si governa conferendo a destra e a sinistra poteri di veto. Niente è più falso che la democrazia viva dei contrappesi opposti a ogni peso. Una forza riformista si batte per ripristinare il ruolo primario della politica perché nell'immobilismo la democrazia si indebolisce, perde la fiducia della gente, muore. La democrazia vive delle sue opere. Quello che serve è la democrazia governante, come diceva Bettino Craxi ".
Cara Stefania, grazie del tuo intervento che avrebbe avuto il grande successo che meritava in ogni congresso socialista. Ma evidentemente non nel partito di Nencini che di socialismo, del socialismo riformista che fu di Turati, di Saragat e di Craxi non ha assolutamente nulla. E quel partito resta, purtroppo, un contenitore vuoto al servizio dei nemici del socialismo. Dei nemici dei socialismo di Craxi, vecchi e nuovi, da D'Alema a Fini. Grazie Stefania, ti voglio bene!
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