Letta convoca la maggioranza: soldi ai partiti, non torno indietro

Dalla Rassegna stampa

ROMA - «Sul disegno di legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti non si torna indietro», giura il presidente del Consiglio Enrico Letta. Che si prepara a una corsa contro il tempo, per varare sei decreti legge in scadenza, avere l’ok al ddl di riforma costituzionale, alla legge sull’omofobia e al testo sul finanziamento. Anche per questo, per mettere tutti davanti alle loro responsabilità, oggi il premier incontrerà il gruppo del Pd e domani quello del Pdl. Letta, in un tweet, pone una domanda retorica: «Abbiamo presentato una buona riforma sul finanziamento. Perché bloccarla?». Il riferimento probabilmente è alle forze che tendono alla conservazione del sistema, con la perpetuazione di un apparato di partiti novecenteschi, caratterizzati da burocrazia elefantiaca e sprechi congeniti. Ma tra gli avversari del ddl c’è anche chi sostiene che l’alternativa offerta, non allettante, è quella di affidarsi in toto ai finanziamenti privati, e quindi a tycoon, poteri forti più o meno legittimi e a lobby. Ma per Antonio Misiani, tesoriere del Pd, quindi parte di una categoria in genere ostile alla riforma, la strada scelta è la migliore: «La cosa peggiore sarebbe lasciare le cose come stanno. Perché anche in quel caso i partiti sono destinati a morire». Eppure il rischio dell’immobilismo c’è. Perché i tempi sono sempre più stretti, la data prevista d’approdo in aula del ddl, venerdì, rischia di saltare. E così il varo entro la pausa estiva dell’8-9 agosto. Si infittiscono le riunioni tra i partiti per cercare di trovare una soluzione.

Troppi gli emendamenti sul tappeto, oltre 150, e troppo divergenti tra loro. Per questo anche ieri si sono incontrati i relatori Emanuele Fiano (Pd), Mariastella Gelmini (Pdl) e Renato Balduzzi (Scelta Civica). Difficile districarsi nella matassa di emendamenti: il Movimento 5 Stelle ne ha presentati 58, il Pd 32, il Pdl 26, Sel 15. L’unica cosa certa è il senso del ddl: abolire i finanziamenti diretti dello Stato ai partiti e sostituirli, progressivamente, con una contribuzione privata. I contorni sono tutti da definire. Le due questioni principali vertono sul 2 per mille, il sistema ipotizzato dal ddl, e sulle regole interne dei partiti per aver diritto ai contributi. Il Pdl vorrebbe abolire il 2 per mille ed è per una deregulation sul secondo tema. Ma di questioni da risolvere ce ne sono altre, come il tetto da definire per i finanziamenti privati (per ora non è previsto). Un ostacolo che pare insormontabile, per il Pd, è l’emendamento Pdl sui contributi delle società ai partiti: attualmente è prevista obbligatoriamente una deliberazione del consiglio di amministrazione. Il Pdl vorrebbe depenalizzare il reato di mancata deliberazione. Ma sono anche le divergenze interne a preoccupare. Nel Pd Matteo Orfini è decisamente critico e commenta così il tweet di Letta: «Nei momenti di difficoltà di governo ci si grillizza e si utilizza l’argomento del finanziamento pubblico contro un indistinto partitismo». Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali, avverte del rischio di svalutare l’importanza dei partiti. Non solo. Contesta chi «fa finta di non sapere che anche l’uno per mille è un costo pubblico e che, in questo Paese, le lobby non sono regolate e i poteri criminali hanno una tale disponibilità di capitale da fare un sol boccone di un partito intero». Tra chi contesta radicalmente la riforma ci sono i 5 Stelle: «La casta è drogata di finanziamento pubblico - dice Riccardo Fraccaro - Questa riforma è gattopardesca».

Per Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani, «i blitz partitocratici peggioreranno il ddl, che comunque è un modo per tradire il referendum radicale del 1993». Anche per questo Staderini invita a firmare il nuovo referendum radicale: «Per voltare pagina davvero».

 

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