L'estrema controffensiva di un premier sempre più assediato

Non stupisce che l'ufficio di presidenza del Popolo della libertà si sia concluso in modo unanime. Sarebbe strano il contrario. Né deve meravigliare che il presidente del Consiglio abbia alzato la voce, minacciando i dubbiosi della maggioranza: «Chi non si adegua è fuori». Il momento per lui è talmente drammatico che non gli sembra il caso di andare per il sottile.
Può anche darsi che Berlusconi non abbia pronunciato la frase sulla condizione di «guerra civile fra poteri dello Stato» in cui ormai si troverebbe il paese (a causa, s'intende, dei magistrati «eversivi»). L'ufficio stampa, seguendo un modello ben collaudato, l'ha smentita in serata. In ogni caso, la frase, detta o non detta, rispecchia senz'altro il sentimento del premier, più volte manifestato da lui stesso.
Il fatto è che esiste una certa contraddizione tra l'unanimità esibita dal gruppo di vertice, in apparenza compatto dietro il suo capo, e i pugni sul tavolo che Berlusconi ha dovuto battere, adombrando l'espulsione per i renitenti. Non ci vuole molta fantasia per capire che bersaglio degli strali sono Fini e il suo piccolo gruppo. Ma, se è così, non basta un documento sulla giustizia e sulle riforme - sintesi di proposte già note - per dissipare la minaccia.
Se davvero il premier ritiene che esista all'interno della coalizione una sorta di «quinta colonna», incerta e ambigua di fronte all'offensiva giudiziaria, allora i toni concitati di ieri sono più una prova di debolezza che di forza. Offrono l'immagine di un uomo angosciato da eventi incalzanti, fino ai messaggi che rimbalzano dalla Sicilia, piuttosto che di un leader sicuro di sé e pronto a schiacciare gli avversari interni ed esterni.
La riunione di ieri ha dato l'impressione che mai come oggi Berlusconi si senta, al di là delle parole usate, la vittima di una guerra civile. E anche che non sappia come uscire dal vicolo cieco. Per cui, come in una disperata battaglia, ha messo sul tavolo tutti i tasselli del mosaico: la controversa legge sul «processo breve»; un nuovo «lodo», stavolta costituzionale, sull'immunità delle alte cariche; la separazione delle carriere dei magistrati. Nella sua idea si tratta di un percorso in cui ogni passo porta al successivo, fino alla salvezza definitiva. In realtà le singole proposte assomigliano a sacchetti di sabbia riempiti in fretta e posti a protezione del fortino assediato.
Il resto è contorno. Compreso il rigetto dell'ipotesi di voto agli immigrati o di una via breve per la cittadinanza. Questioni poste da Fini, ma che non hanno possibilità di essere accolte oggi dal centrodestra. Tanto meno in questi frangenti. Dopo la riunione di Palazzo Grazioli sappiamo che Berlusconi ha ritrovato lo spirito del combattente che è sempre stato, preparandosi a guidare il suo esercito nell'ultima battaglia. Il rischio è che lo scenario bellico sia l'unico possibile, visto che le soluzioni intermedie sono rifiutate anche quando affiorano all'orizzonte. Come la leggina ordinaria sul «legittimo impedimento» suggerita da Casini, ma finora non raccolta dal premier.
In ultima analisi, la situazione appare bloccata. Può darsi che ieri l'asprezza berlusconiana fosse a uso interno, date le caratteristiche della riunione. Forse invece si è varcato il punto di non-ritorno, con l'attacco alla magistratura, alla Rai e a tutti gli avversari veri o presunti. In questo caso c'è da credere che la facile unanimità non eviterà tra breve nuove, laceranti tensioni.
© 2009 Radicali italiani. Tutti i diritti riservati
SU
- Login to post comments