"La legge svuotacarceri peggio dell'indulto"

Dalla Rassegna stampa

 

Il conflitto nella maggioranza sul ddl governativo «svuotacarceri» era nell’aria ed è diventato palese quando, in commissione Giustizia alla Camera, si è. saldato un inedito fronte giustizialista Lega-Italia dei Valori. Poi, ieri, il ministro dell’Interno Roberto Maroni che pure aveva votato il 13 gennaio il ddl Alfano in consiglio dei ministri - ha pronunciato il de profundis per il provvedimento che porterebbe alla detenzione domiciliare circa 10 mila carcerati cui manca un solo anno da scontare in cella: «Abbiamo una valutazione negativa sull’impatto del cosiddetto disegno di legge svuota carceri che è peggio di un indulto visto che gli effetti non sarebbero una tantum ma per sempre».
Maroni, che ha parlato con l’Ansa al Cairo dove si stava occupando di immigrazione, ha scelto con cura i tempi per la sua sortita: «Noi non siamo in grado di controllare le circa lo mila persone che ora, se fosse approvato il ddl, andrebbero ai domiciliari; la metà è costituita da stranieri e molti sono clandestini, senza casa. Dove dovrebbero scontare i domiciliari?».
Il ministro ha poi fatto un po’ di conti a casa sua, perché i controlli sui domiciliari sono riservati a polizia e carabinieri: «Per un numero così elevato di persone il controllo sarebbe possibile solo se fosse disponibile una tecnologia sul modello del braccialetto elettronico, che però non dà ancora adeguate garanzie».
E’ toccato dunque al vice capo della polizia Francesco Cirillo, convocato per un’audizione in commissione Giustizia, mettere in cifre il disagio della polizia: «Oggi i detenuti ai domiciliari sono 3.500, con questo ddl
diventerebbero circa i i mila e l’impatto sarebbe molto significativo sulle nostre risorse che verrebbero inevitabilmente distolte da altri settori». Tre agenti per un controllo: ovvero 33 mila uomini impiegati per un totale di 225 mila ore lavorative in più al mese, ha detto il prefetto.
A quel punto al ministro della Giustizia Angelino Alfano molto contrariato dalla sortita a freddo del collega Maroni non è rimasto che far diramare un lungo comunicato in cui si ribadisce un punto prima degli altri: «Non vogliamo svuotare le carceri e nessun detenuto sarà messo in libertà...». Poi però il Guardasigilli ha ricordato a chi lo avesse dimenticato che «il 13 gennaio il consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il ddl che è parte di un piano complessivo e che esclude indulti e amnistie». E se il capogruppo del Pdl in commissione Giustizia, Enrico Costa, parla di «brusca retromarcia di Maroni», ora il ministro cerca di comporre il conflitto aperto da Maroni con le formule di rito: «Venerdì riferirò in consiglio dei ministri sulla situazione nelle carceri nella convinzione che anche in questa circostanza si saprà individuare la soluzione concreta, ragionevole e di buon senso come la grave emergenza necessita». Alfano, infatti, tutti i giorni deve fare i conti con i sindacati della polizia penitenziaria (ieri la Uil e il Sappe) che gli ricordano le cifre del disastro carceri: 70 mila detenuti, oltre ogni limite di sopportabilità del sistema.
Il presidente della commissione Giulia Bongiorno (Pdl) ha detto che il ddl «è condivisibile», ma ha aggiunto che è stata «evidenziata una serie di criticità di cui bisogna farsi assolutamente carico». Carolina Lussana e Nicola Molteni (Lega) hanno posto condizioni: «Servono esclusioni soggettive per i recidivi e oggettive per gli autori di furti, violenze sessuali e violenze in famiglia». Rita Bernardini (Radicali) parla di «sparate demagogiche di Maroni» mentre Patrizio Gonnella, (Antigone) aggiunge che il no del ministro è irresponsabile. Donatella Ferranti (Pd), ma anche Nino Lo Presti (finiano) e Manlio Contento del Pdl, hanno chiesto a Maroni e ad Alfano di riferire in commissione.

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