Legge elettorale, Pd in cerca di una proposta comune

Dalla Rassegna stampa

 

Non sarà semplice né indolore, per il Partito democratico, ritrovarsi attorno a una proposta condivisa di riforma della legge elettorale. Doveva averlo ben chiaro ieri il segretario Pierluigi Bersani quando, intervenendo al forum di Repubblica Tv, continuava a mettere l'accento sulla parola "flessibilità", spiegando che «legge elettorale vuol dire "regole"» e che quindi bisogna «discutere con tutti coloro che hanno a cuore le regole». Un punto comune dal quale partire c'è: «Vediamo in quanti siamo d'accordo a dire che questa legge è un abominio».
Questa legge, il porcellum, che «consente a una persona sola di nominarsi tutti i suoi parlamentari», è all'origine di una «distorsione micidiale»: è il parlamento a rispondere al governo e non viceversa. Dunque, insiste il segretario, vediamo chi ci sta a lavorare per cambiarla davvero. Il fatto è che ieri mattina Repubblica era uscita con una intera pagina di retroscena "dalemiano" a firma del vicedirettore Massimo Giannini, in cui l'ex presidente del consiglio chiariva attraverso numerosi virgolettati, ancor più nettamente di quanto già non avesse fatto in passato, la sua preferenza per il sistema elettorale tedesco, proprio quello più avversato dai bipolaristi convinti.
«Con il sistema tedesco - è il ragionamento di Massimo D'Alema - noi potremmo convogliare un campo vasto di forze, dall'Udc alla Lega, e creare un assetto tendenzialmente bipolare, anche se non bipartitico, dove si andrebbe alle urne con cinque, massimo sei partiti, con un centro forte che si allea con la sinistra, con la sfiducia costruttiva, con una buona stabilità dei governi, che volendo potremmo persino rafforzare con l'introduzione di una clausola anti-ribaltone. Non riesco a immaginare uno schema migliore, per un paese come il nostro». D'Alema non ritiene adatto alla situazione italiana neanche il mattarellum, che invece gode di buona fama tra i democratici: «Ma ci rendiamo conto che col mattarellum siamo andati alle urne con quattordici partiti?».
La sortita di D'Alema ha creato una certa fibrillazione nel Pd, già alle prese con l'appello per l'uninominale lanciato sul Corriere della Sera da politici e professori bipartisan, tra cui alcuni esponenti di rilievo del partito, come Pietro Ichino, Ignazio Marino, Enrico Morando, Nicola Rossi, Giorgio Tonini, Ermete Realacci, oltre ai parlamentari radicali nel gruppo Pd come Emma Bonino e Maria Antonietta Coscioni.
«Non si può tornare indietro, alla politica delle mani libere, come di fatto propone D'Alema con il sistema tedesco, delle coalizioni costruite a tavolino dopo il voto», ha detto la presidente Rosy Bindi». Ironico Arturo Parisi: «Sono passati appena tre mesi da quando un assemblea nazionale del Pd varava con enfasi un documento che indicava come posizione del partito un sistema di impianto maggioritario fondato sui collegi uninominali. È più di un anno che chiedo a Bersani: che D'Alema stia dalla tua parte è risaputo. Si può almeno sapere se tu stai con D'Alema?». Molto critico Stefano Ceccanti: «D'Alema propone il centro forte che si allea con la sinistra, ma ciò nega la radice Ulivo e Pd, in ogni caso in parlamento i voti non li avrà». Dove potrà spingersi la «flessibilità» di Bersani? «Oggi il problema non è la formula... la ragionevolezza porterà a un sistema che non metta in discussione il bipolarismo, ma ci eviti i rischi del plebiscito. Si può valutare il modello tedesco o il mattarellum. L'assemblea nazionale del Pd ha fissato alcuni paletti, approfondiremo».
 

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