Lega all'attacco «Ora secessione»

Dalla Rassegna stampa

Il Bossi che non t'aspetti è quello che dice la verità e svela strategie: «Due sono le strade consentite alla Lega. O vai a Roma con tanti voti, oppure ti scateni fra la gente». Visto che dieci anni al governo con tanti voti non hanno funzionato, adesso la strada praticabile è una sola: «È tempo di scatenarci». Manco il tempo di dirlo e fuori dal parlamento padano scoppiano i petardi. Che però sono quelli degli antagonisti venuti per sbeffeggiare «il partito del magna magna che sceglie come parlamento un ristorante».

Il ristorante, in realtà, è prenotato per una festa di battesimo, i leghisti si devono accontentare di un salone nella Fiera di Vicenza. Qui inizia la quarta serie di una sceneggiata settentrionale in tutto uguale alle tre precedenti. Inni indipendentisti, richieste di secessione, tuoni e fulmini contro chiunque non abbia un alberto da giussano appuntato al bavero, giornalisti stronzi, roma ladrona, libertà alle porte, e Calderoli che si mette in mostra: «Ci vuole una separazione consensuale dall'Italia, come è avvenuto in Cecoslovacchia».

È come un gioco dell'oca padano. Il Carroccio lancia i dadi, va al governo, avanza, occupa posti di potere, distribuisce prebende. Poi finisce nella casella delle promesse non mantenute ed è costretta a tornare al via. Da dove scrive nuove promesse: «La guerra economica è finita» borbotta Bossi «la Padania ha vinto e l'Italia ha perso. E visto che dopo le guerre si riscrivono i trattati, si apre una finestra per la nostra indipendenza».

Un immenso «dejà-vu», insomma, questo ritorno alle origini. E la platea torna a riempirsi all'inverosimile perché ai leghisti non par vero di stare nuovamente all'opposizione e poter dire tutto ciò che passa per la mente. «Se non ci ascoltate non paghiamo più le tasse» (Reguzzoni), «Si dovrebbe parlare di un'uscita dell'Italia dall'euro» (Giorgetti). «Questo di Monti è un governo truffa» (Calderoli), «Raccoglieremo le firme per un referendum sulle pensioni» (di nuovo Calderoli). «Tutti in piazza a Milano il prossimo 15 gennaio» (idem), «Siamo soli a lottare contro il leviatano» (Maroni), «Io non sono laureata alla Bocconi» (Rosy Mauro).

Il pubblico in sala non va tanto per il sottile. «Secessione» urla ogni pochi secondi. Maroni è il più applaudito. Viene incoronato sul campo, condurrà la pattuglia incaricata di «fare un c... cosi a Monti in Parlamento». Lui accende il clima dicendo che «per introdurre nuove tasse non c'era bisogno dei professoroni». Poi azzarda: «Dipendesse da me, per il futuro lascerei perdere certe alleanze, la Lega da sola può vincere». Bossi ascolta attento, ma quando è il suo turno svicola. Perché questo sarà pure «il tempo di scatenarsi» e di dire che «per fare la secessione senza fucili basta un po' di fortuna». Ma deve pur sempre tenere viva la seconda opzione: andare a Roma con tanti voti e con Berlusconi alleato: Nel gioco dell'oca, del resto, non si può stare troppo tempo nella casella di partenza.

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