"La leadership va mediata dal partito". E Fini boccia l'inno dedicato a Silvio

Dalla Rassegna stampa

 

Gianfranco Fini non molla la presa sul premier Berlusconi. «Sono convinto che una leadership forte e carismatica non sia negativa per il paese, ma il rapporto diretto con l’elettorato deve essere mediato da un partito», dice il presidente della Camera, nella seconda tappa del «tour» televisivo che ieri l’ha portato davanti alle telecamere di Ballarò prima di approdare stasera sul salotto di Vespa.
L’ex leader di An torna a parlare a tutto campo, perfino dell’inno del Pdl "Meno male che Silvio c’è". «Non mi piace, non perché ci sia Silvio, ma perché in una fase post ideologica non c’è bisogno di inni. Non ci sono più ortodossie ed eresie, siamo nel 2010» afferma, stuzzicato da Floris. E siccome l’eretico, per i berlusconiani e i giornali più vicini al premier, è proprio lui, Fini sbotta: «Essere bollati di deviazionismo comunista è tipico di una certa stampa con una concezione muscolare del bipolarismo, perennemente arrabbiata, sempre con la bava alla bocca». In tv il presidente della Camera indossa una cravatta rossa ma «è solo una tonalità cromatica - taglia corto rispondendo al conduttore - non l’indice di pericolosi deviazionismi ideologici».
Quindi, rivendica la sua minoranza, «piccola ma politicamente significativa», che non metterà in discussione Berlusconi: «Ha il diritto di governare». E sarebbe «irresponsabile» portare il paese alle urne, le conseguenze sarebbero «devastanti». Allora non resta che fare le riforme «cercando intese larghe: un buon motivo per mandare avanti la legislatura». E tra le riforme, anche quella della giustizia, da fare «nell’interesse dei cittadini e della stragrande maggioranza dei magistrati, che sono un baluardo di legalità», sottolinea ancora Fini prendendo indirettamente le distanze dalle note posizioni del premier.
La terza carica dello Stato ribadisce insomma le tesi sostenute in direzione, anche sul federalismo: «Non va fatto a ogni costo, ma solo se compatibile con la condizione finanziaria del Paese». Prima di concludere intervenendo sulla polemica che ha tenuto banco per tutto il giorno: lo scontro esploso nel gruppo Pdl dopo le dimissioni del vice Italo Bocchino, suo uomo. Gesto «di elementare correttezza», sostiene Fini, «attendiamo ora le decisioni del vertice del partito».
E sì che la faccenda nel frattempo è deflagrata, eccome, a Montecitorio, scatenando la reazione di Cicchitto e dei berlusconiani. Bocchino presenta in mattinata la lettera di dimissioni già annunciata. «Caro Fabrizio» esordisce, ma è una missiva al «veleno», con cui chiede un incontro con Berlusconi, la convocazione dell’assemblea dei deputati e l’elezione dei nuovi vertici, Cicchitto in testa, invitato a dimettersi pure lui. La sua tesi è che il regolamento «lega il destino del presidente e del vicario, simul stabunt, simul cadent». In più, Bocchino gli annuncia la propria candidatura a capogruppo, «per consentire alla minoranza di esercitare il suo ruolo». Cicchitto non si fa cogliere impreparato.
L’ufficio legislativo del gruppo gli ha già predisposto un parere interpretativo dell’articolo 8 del regolamento interno con cui gli esperti del Pdl scrivono che non bastano le dimissioni del vice per decretare la decadenza del capogruppo, semmai il contrario. E così sentenzia infine una nota ufficiale del gruppo.
E Bondi in serata: «Cicchitto non è in discussione». Nel frattempo, anche il sottosegretario finiano Roberto Menia fa sapere di essere pronto a candidarsi a capogruppo, in rotta con Bocchino, a lui inviso e non da ora: «Non ha certo il mio consenso» dice dopo aver incontrato il presidente della Camera. Polemica vana, forse. Perché col passare delle ore proprio Bocchino fa sapere che le dimissioni erano «condizionate» e saranno ritirate se non si procederà al rinnovo di tutte le cariche. Cioè se anche Cicchitto non si farà da parte. Ora si tratterà di capire che decisione prenderà Berlusconi di fronte a quest’altro pasticcio.
Fini dal canto suo non si ferma più. In Mezzora, Ballarò, stasera Porta a Porta. E questa mattina al fianco di Luca Cordero di Montezemolo in un appuntamento sponsorizzato da Confindustria. I finiani escludono prove tecniche di «terzo polo». Il rutelliano (ex pd) Massimo Calearo invece parla di contatti proprio di Rutelli con gli uomini dell’ex leader di An: «Montezemolo leader? Magari».

© 2010 La Repubblica. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK