L'avanzata dell'Islam nero

Dalla Rassegna stampa

L’ Islam avanza, penetra, si insinua, conquista, rosicchia l’Africa nera, quella un tempo degli animismi e dei missionari cristiani, ha ormai scavalcato la linea del fronte che corre, sinuosamente, lungo il sedicesimo parallelo, dal Senegal islamizzato al novantacinque per cento alla Somalia degli shebab. Avanza, ahimè, con il terrorismo i massacri i kalashnikov: autobombe esplodono a Kampala e a Nouakchott, Timbuctu è loro, conquistata come, dall’altro capo del continente, Mogadiscio. È il nuovo paese della guerra, «dar al-harb»; in attesa che diventi, purificato col fuoco, «dar al–islam», pezzo di crosta terrestre sotto la quale la lava sta bollendo, pronta all’eruzione.

L’Occidente distratto non si è accorto di questo assalto, gli oppone ascari locali, corrotti e incapaci, si batte per procura, pagando vilmente etiopici e kenioti.

Ma l’Islam seduce anche con il denaro, la carità, le scuole coraniche, le moschee nuove di zecca, i centri che distribuiscono cibo e aiuti. Aggioga con il terrore, e con la forza della fede, il ricatto della necessità, la tentazione dell’ordine e della sopravvivenza. Gli africani diventano musulmani per disperazione odio seduzione speranza, seguono i profeti armati salafiti, ma anche le soavi promesse di pace dei marabutti. L’Islam nero: minaccia, ma anche travolgente tentazione della spiritualità, per il riconoscibile dolore di ogni giorno, la vita come sappiamo viene sofferta e vissuta. Si impone attraverso un nuovo sincretismo, nato dall’andirivieni degli emigranti, e dei loro figli, tra i quartieri sensibili delle città europee e i villaggi più disgraziati della brousse, della savana, del deserto. Modernizzazione islamista da un lato (sì, non è un paradosso), e riscoperta delle radici dall’altro, sono il filo e l’ordito di un nuovo inedito tessuto identitario.

Agli inizi degli Anni Ottanta un maestro di scuola coranica, Muhamadu Marwa, proclamò una repubblica islamica a Kano nel Nord della Nigeria, popolato di «mahdis», di messaggeri divini. Ai giovani disperati dell’esodo rurale, arrivati in città in cerca di un futuro, spiegava che chiunque porta un orologio, gira in bicicletta o in auto, e manda i bambini nelle scuole di Stato è un infedele, merita la punizione. Nonostante la feroce repressione (o forse è stata la causa?) trenta anni dopo quelle terre sono infeudate ai boko haram («l’educazione occidentale è un peccato»), i talebani d’Africa. E in quegli Stati del Nord è in vigore la sharia. Ha ben fermentato la lezione di quel maestro.

In Niger lo Stato ha privatizzato l’istruzione: mandare i bambini nelle scuole private costa troppo per la maggior parte della popolazione. L’unica alternativa alla strada sono le scuole coraniche: gratuite. Così i fedeli aumentano, gli imam si fregano le mani soddisfatti.

In tutto il Sahel l’appello alla moralizzazione della vita pubblica, che incanta e fanatizza le masse disperate, principali vittime degli abusi e della corruzione di queste società guaste, sfocia nella rivendicazione di Stati islamici, arbitri di un modo di vita che non si potrebbe concepire senza la moralità. La «charia», feroce ma implacabile, riporta l’ordine e la pace laddove i signori della guerra e le tribù comandavano. Da Mogadiscio a Gaò. L’Islam è uno straordinario filo di sicurezza spirituale, un ordine strutturante, una etica e una estetica di vita, trasforma le superstizioni in misticismo e rappresenta una scuola di universalità per 300 milioni di africani, il quaranta per cento della popolazione del continente. Più di quanti vivono in tutti i Paesi arabi riuniti.

L’islam è ricco, più dell’Occidente dei tiepidi postcolonialismi. La ricerca della «zakaat», l’elemosina prescritta dal Corano, ingrossa i ranghi della Organizzazione della conferenza islamica e trasforma gli Stati dell’Africa nera in mendicanti dei «fratelli arabi», Gheddafi, i sauditi, gli Emirati. Ma anche Al Qaeda. Con o senza fondi religiosi, semplicemente facendo forza sul risentimento contro gli occidentali colonialisti, arroganti e predatori, i fondamentalismi avanzano a Sud del Sahara. Tra i ventidue terroristi più ricercati del dopo undici settembre c’erano dodici africani. Nelle periferia di Dakar e di Abuja, di Khartum, potevi vedere le magliette con l’effigie di Bin Laden, il vendicatore.

Che cosa abbiamo opposto noi, Occidente, a tutto questo? Il fondamentalismo delle sette protestanti americane, il capital-cristianesimo che cerca di comprare le anime mettendo a libro paga i presidenti-dittatori. Alla interminabile ripetizione della fatiscenza, all’enorme pressione della povertà che scorre, si ramifica e si estende in tutto il continente come l’acqua alluvionale abbiamo proposto non l’immedesimazione con i sofferenti ma la predicazione del liberismo: che profitta soprattutto a noi. In questo mondo di miseria e di perdite l’uomo ha fame di fede e di irrazionalità. Ma il capitalismo non è un credo e non è un magnete. E’ solo un modo di vita a cui noi, solo noi, abbiamo fatto l’abitudine.

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