L'autunno della politica

Dalla Rassegna stampa

Non paghi dei loro disastri, i partiti hanno pure l'ansia di liberarsi di Mario Monti. Con lo spread dimezzato, pensano che il baratro in cui ci hanno cacciato sia più lontano e che dunque i tempi siano propizi per tornare ai vecchi riti. Non vedono l'ora di rifarsi vivi: hanno la Rai da fare a bocconi, declamando, beninteso, smisurate lodi al (loro) servizio pubblico. Hanno, urgenza delle urgenze, le nomine con cui soddisfare le clientele. Non sono più capaci di vivere senza il circo dei talkshow, quando tutti li invitavano a fare le mossette e loro le facevano con grande maestria: l'unica cosa che sono in grado di fare. L'unica.

Per il resto, la loro crisi di astinenza è totale. Il governo tecnico, durerà quel che deve durare, ha svelato l'inutilità di apparati costosi e rissosi, "radicati" nel territorio con i metodi che tutti (tranne i radicali) hanno usato per dilapidare a loro vantaggio la spesa pubblica. Il governo tecnico ha sancito la verbosità inconcludente delle loro dichiarazioni. Anche se non fa tutto bene (sulle liberalizzazioni lascia a desiderare, le privatizzazioni inghiottite nel nulla e la tassazione sempre più asfissiante), il governo tecnico ha dimostrato che basta pochissimo per non far rimpiangere i governi politici che si sono succeduti nel corso della deludente Seconda Repubblica. Adesso i partiti o, come dicono loro, "la politica" promette che, chiusa la parentesi tecnica, tornerà ai suoi fasti perduti. Siamo fritti, se accade veramente. Il default italiano, solo rimandato ma non scongiurato se si ricomincia come prima, è lo scenario più probabile di un Paese in recessione, stanco, avvilito, depresso, spolpato da un ceto politico vorace e inetto.

Qualunquismo? Forse. O forse semplice principio di realtà, fotografia dei fatti, constatazione di un dato oggettivo: tranne che per i clienti, per gli amici, i familiari e un pugno di generosi idealisti la politica è diventata in Italia una delle attività più screditate. Il divario tra le parole e i fatti è diventato una voragine. Non c'è un obiettivo su cui valga la pena soffermarsi. Non un progetto che abbia la benché minima possibilità di realizzarsi. Il governo tecnico rischia di essere impiccato esattamente dove sta il suo pregio: nella capacità di decidere. Se il governo tecnico decide troppo, per la "politica" è finita. Ecco perché si scaldano così: devono far finta di esistere, anche se non esistono più.

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