L'arco costituzionale è già fritto

Dalla Rassegna stampa

Dev'essere stato Rocco Buttiglione il primo a esternare la non felice trovata di battezzare la maggioranza che sorregge il governo «nuovo arco costituzionale». A dimostrare il disprezzo che l'espressione solleva, stanno alcune dichiarazioni di esponenti leghisti irridenti ai «partiti dell'arco costituzionale», così da loro stessi definiti. Sul versante radicale, Massimo Bordin, popolare voce di Radio radicale, è stato esplicito in un corsivo sul Riformista: «Un altro arco costituzionale? No, grazie».

L'arco costituzionale negli anni settanta fu una coniazione che motivava, da un lato, l'estromissione del Msi dall'arena politica e, dall'altro, la piena partecipazione del Pci al potere. Sinonimo sovente di compromesso storico, l'arco costituzionale giustificava qualsiasi intesa politica, nel nome della continuità addirittura col Comitato di liberazione nazionale. Sovente, era l'emergenza la parola d'ordine che veniva accampata per difendere l'accordo con i comunisti. Quando finalmente Bettino Craxi emerse con le sue intemerate contro il Pci, a favore delle revisioni costituzionali e istituzionali e per riconoscere il ruolo del Msi, l'arco costituzionale andò in soffitta.

Certo, anche oggi c'è chi vorrebbe una nuova unità nazionale, una riedizione del Cln o del compromesso storico.

L'Udc è in prima fila nel teorizzare l'alleanza, se non permanente, certo a lungo termine, oltre le prossime elezioni, da stipularsi i fra partiti opposti, come Pd e Pdl, con la mediazione, beninteso, dei centristi.

Non sembra, tuttavia, che né fra i democratici né fra i pidiellini abbondino i soste- nitori della melassa politica. Indubbiamente, antichi sogni sorreggono tuttora le Pier Ferdinando Casini prospettive politiche di un Beppe Pisanu, il quale trenta e più anni fa era assertore dell'alleanza fra Dc e Pci e oggi teorizza l'accordo fra destra e sinistra.

Ma la stragrande maggioranza dei dirigenti dei due partiti tollera a fatica l'attuale tripartito, senza alcuna voglia di proseguirne l'esperienza oltre i tempi che dovranno, più che determinare, subire.

Quanto agli elettori, il desiderio comune di ciascuna delle due basi è far la forca all'altra: altro che accordarsi!

Non è un caso che Pier Luigi Bersani debba fare i conti con le ripulse, molto diffuse ed esternate dai sindacati prima ancora che dal partito, degli oppositori alla riforma delle pensioni.

Non è un caso che Silvio Berlusconi debba penare per convincere i propri elettori dello stato di necessità nel quale si dibatte. Non si può, dunque, asserire che un novello arco costituzionale possa oggi godere largo favore popolare.

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