L'appello del premier «alla responsabilità»

Dalla Rassegna stampa

«Tenere saldo l'asse con Bossi e costruire l'intesa con Casini». Ecco la strategia di Berlusconi, giocata sul presente con la Lega e proiettata sul futuro anche con l'Udc, non per ottenere il sostegno dei centristi all'attuale governo ma per strutturare un'alleanza che possa risultare vincente se e quando si tornerà alle urne. Non ora, certo.
Il Cavaliere ha fatto di tutto per scongiurare le elezioni. Berlusconi ha spiegato la scelta richiamandosi al «senso di responsabilità che ci impone di fare le riforme, governare il Paese, rassicurare i mercati finanziari dove sono in scadenza titoli di Stato italiani per centinaia di miliardi». In realtà il premier non vuole andare al voto adesso anche perché teme di esporsi ad una crisi al buio, ai rischi connessi di un governo tecnico - per quanto ipotetico - che porterebbe con sé «il tentativo di modificare la legge, elettorale».
Ma c'è di più: i suoi amatissimi sondaggi rilevano «la contrarietà del Paese alle elezioni anticipate, un crescente astensionismo. E questo per noi non è un buon segno». Niente urne, dunque. Così si è aperta una faglia nel rapporto con Bossi, che ieri ha minacciato pubblicamente di votare «contro il governo» pur di tornare al corpo elettorale già a novembre. Il Cavaliere ritiene che quella del leader leghista sia «una delle sue solite tirate, per dare un segnale di forza al suo popolo e mobilitarlo», siccome per il fine settimana è prevista la manifestazione dell'ampolla sul Po. In parte Berlusconi dice il vero, d'altronde il capo del Carroccio sa che non è più possibile andare alle urne a novembre. È stato Maroni a spiegarlo l'altra sera al vertice di Arcore: «Per riuscirci, il governo si dovrebbe dimettere entro la prossima settimana. Altrimenti non ci sarebbero i tempi tecnici». Insomma, Bossi è consapevole che quella data è sfumata, che è costretto a sfruttare solo mediaticamente il 15% di cui lo accreditano oggi i sondaggi: magari se ne servirà per ottenere altro, «la candidatura di un leghista a sindaco di Milano», sussurra andreottianamente un autorevole ministro del Pdl. Sarà, ma c'è dell'altro. Perché il capo del Carroccio aveva fatto più di un pensierino alle elezioni in autunno, al punto che tre giorni fa ha rimproverato il premier di non aver fatto precipitare la crisi a fine luglio, nei giorni dello strappo con il presidente della Camera: «Così saremmo andati al voto a ottobre, prendendo Fini e l'opposizione di sorpresa. E avremmo vinto, Silvio». «Silvio» però non si è fidato (e non si fida) di tornare così davanti al Paese. E «il mio sesto senso», cioè i sondaggi, che l'hanno trattenuto, facendogli tornare alla' memoria come «nel '96 fui costretto da Finì al le elezioni, mentre io dicevo che avremmo perso. Infatti...».
Il Cavaliere non vuole commettere lo stesso errore, perché «è vero che la sinistra non potrà mai battermi», ma è altrettanto vero che al Senato potrebbe non ottenere la maggioranza: «Non è in questo modo che voglio giocarmi lamia ultima partita». Perciò ha fatto resistenza passiva alle pressioni di Bossi: a luglio come adesso. E se in piena estate gli bastò spiegare al Senatùr che non c'erano ancora le «condizioni politiche» per ripresentarsi alle urne, ora ha dovuto escogitare altri stratagemmi. E stato Berlusconi infatti, dinnanzi alle insistenze del leader del Carroccio, a proporgli di salire al Colle per parlare con il capo dello Stato.
Il Senatùr, e con lui i suoi uomini, pensavano che l'appuntamento sarebbe servito per concordare con Napolitano una sorta di road map di fine legislatura, cioè tempi e modi per andare alle elezioni. Peccato che il Cavaliere li abbia spiazzati, annunciando che al Quirinale sarebbe stata sollevata la questione dell'inquilino di Montecitorio e della sua «incompatibilità istituzionale»: «Umberto, sei stato tu a dirmi che Fini può restare nella maggioranza con il suo partito solo se lascia prima la Camera. E con chi ne possiamo parlare se non con il presidente della Repubblica?». Il diversivo ha funzionato. nonostante sia co- stata al premier una figuraccia e un'ulcera perforante a Gianni Letta. E giusto per evitare sorprese, ha deciso di andare in Parlamento a fine mese, ben oltre il tempo massimo per le elezioni in autunno. Berlusconi ha bisogno di tempo per sviluppare la strategia che gli impone di non rompere con Bossi e di aprire a Casini. Già sa che l'operazione è ad alto rischio, se poi anche Tremonti si mette di traverso...
Il ministro dell'Economia infatti ha un ruolo importante in questa partita, il Cavaliere ritiene che faccia «dieci parti in commedia» e che «aizzi la Lega»: c'è chi nell'inner circle berlusconiano ipotizza addirittura che a «Giulio» il pareggio alle elezioni potrebbe anche star bene, perché sarebbe lui poi il candidato a palazzo Chigi in un governo appoggiato giocoforza dall'opposizione. Cattivi pensieri, che nella corte di «Silvio» fanno presa, ma senza prove. Solo qualche indizio a sostegno della tesi che il titolare di via XX settembre spingerebbe per il voto: nei giorni scorsi, dopo che Napolitano aveva parlato della crisi economica, il superministro ha spiegato che per l'autunno non serve una manovra correttiva. Quasi a dire che un eventuale ritorno alle urne non confliggerebbe con la tenuta dei conti pubblici.
L'unico dato certo è che ieri Bossi ha scatenato il putiferio con la sua esternazione dopo aver parlato con Tremonti. Sarà stato un caso. Ma non è un caso che all'Ufficio di presidenza del Pdl tutti i dirigenti abbiano criticato la sortita del leader leghista, che «ha sbagliato tempi e modi». La linea era stata concordata, manco a dirlo, con Berlusconi. Mentre il Cavaliere annuiva è stato notato il volto rabbuiato del ministro dell'Economia che non ha preso la parola al vertice del partito. Assicurano che non fosse mai accaduto. Non rompere con Bossi oggi e legare domani con Casini. Così il premier vuole andare avanti,partendo dal voto di fiducia alle Camere, dove confida che «la maggioranza sarà più ampia di prima». Giura Berlusconi che l'obiettivo non verrà raggiunto con una «compravendita» di deputati, ma ritiene che - sulla base del suo discorso si formerà in Parlamento «un gruppo di responsabilità, pronto a sostenere il governo».
Il Cavaliere sa, l'ha detto ieri al vertice del Pdl, che «l'allargamento della maggioranza a Umberto non piace». Ma è questo il suo primo obiettivo: garantirsi una piattaforma di sicurezza con almeno 316 voti a Montecitorio, che rendano ininfluenti quelli del gruppo dell'Fli. Al tempo stesso Berlusconi non ha alcuna intenzione di rompere con i finiani, almeno non ora, anche perché ieri si è aperta una trattativa sullo «scudo giudiziario». Ghedini, sherpa del premier, al termine di un colloquio con un ambasciatore del presidente della Camera ha riferito a Berlusconi sulla bontà del progetto. Bossi, diventato guardingo e sospettoso, ha chiesto garanzie all'alleato: «Fini non dovrà mai diventare la terza gamba della coalizione». E il Cavaliere l'ha promesso, in cambio di una non ostilità della Lega verso l'operazione che mira a costituire quel «gruppo di responsabilità» in Parlamento. E il passaggio obbligato per il, presente, in attesa di tornare a lavorare per il futuro, per costruire l'intesa con Casini in vista delle elezioni, se e quando ci saranno. Con Fini fuori dall'alleanza, Berlusconi sa che sarebbe impossibile rivincere al Senato senza i centristi. «E sul fatto che 1'Udc arrivi dopo, Bossi è d'accordo», giura il ministro Matteoli. Sarà, intanto il Cavaliere è pronto sul trapezio: lo attende un duplice salto mortale, stavolta senza rete.

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