Lapidazione, non c'è solo l'Iran

Non solo Sakineh. Non solo Iran. Ci sono altre 13 persone, 10 donne e tre uomini, in attesa di essere uccise a colpi di pietra dagli ayatollah, oltre alla donna di cui tutto il mondo in questi giorni sta seguendo le sorte e la cui pena per ora è stata sospesa. Il dato emerge dal rapporto sulla lapidazione nel mondo islamico presentato ieri da "Nessuno tocchi Caino", in occasione della giornata mondiale contro la pena di morte. Impiccagione, fucilazione, decapitazione e lapidazione sono i metodi di esecuzione usati nei paesi islamici, in quelle aree in cui è ancora prevista la pena di morte e in cui viene applicata in senso stretto la Sharia, la "legge divina". «Il problema spiega nel rapporto Sergio D'Elia, segretario di "Nessuno tocchi Caino" - non è il Corano, perché non tutti i Paesi islamici che a esso si ispirano praticano la pena di morte.
Il problema è la traduzione letterale di un testo millenario di norme penali, punizioni e prescrizioni valide ancora nei nostri giorni, seguito da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari, al fine di impedire qualunque processo democratico». L'Iran è il solo paese al mondo in cui la lapidazione è prevista da una legge dello Stato. Ma il fenomeno è molto più esteso: uccisioni con il lancio di pietre, con condanne extragiudiziarie, si sono registrate in altri Paesi come la Somalia, l'Afghanistan dei talebani e il Pakistan (le immagini shock di una di queste esecuzioni adopera dei talebani.,pachistani hanno fatto il giro di tutte le tv del mondo il mese scorso, rilanciate dell'emittente del Dubai Al Aan). Dal 2006 a oggi il regime degli ayatollah, oltre alle condanne per impiccagione (metodo preferito dai giudici), ha lapidato cinque uomini e una donna, tutti per il reato di adulterio. E se è vero che alla fine del mese scorso, sull'onda dell'indignazione, internazionale per la vicenda Sakineh, l'ambasciatore iraniano a Roma, Seyed Mohammad Al Hossaini, ha annunciato una riforma del codice penale che non prevede più la lapidazione per i casi di adulterio, è anche vero che la legge, sempre che sia approvata dal Parlamento; per entrare in vigore dovrà ottenere il placet del Consiglio dei Guardiani, la Corte costituzionale iraniana, il cui presidente, l'ayatollah Ahmad Jannati, è schierato sul fronte degli ultraconservatori. E tosi sono ben poche sono, le speranze che i condannati alla lapidazione in Iran possano sfuggire a questa pratica disumana.
Tra questi c'è Kobra Babei, detenuta a Tabriz, madre di una bambina di 13 anni, il cui marito è già morto per impiccagione lo scorso anno. L'uomo, Rahim Mohammadi è stato prima frustato, poi appeso alla forca con il corpo martoriato. «I due - si legge nel rapporto - erano sposati da 16 anni e vivevano in condizioni di estrema povertà, costretti a ricorrere all'assistenza economica di organizzazioni statali. Alcuni impiegati di queste organizzazioni avrebbero offerto denaro all'uomo per avere rapporti sessuali con la moglie, e lui avrebbe accettato».
C'è anche una ragazza di 19 anni che attende di morire a colpi di pietra. Si chiama Azar Bagheri e, secondo l'accusa, commise adulterio quando aveva 15 anni, pochi mesi dopo essere stata costretta a sposare un uomo che divenne il suo accusatore, senza che siano mai state provate le sue parole. La ragazza per ben due volte è stata sottoposta all'incubo di lapidazioni simulate. Il macabro rito di questo tipo di esecuzione ha delle regole ben precise. L'uomo viene avvolto in un sudario bianco e interrato fino alla vita, la donna, anch'ella nel sudano, fino alle ascelle. Sul luogo viene portato un carico di pietre e funzionari governativi o semplici cittadini danno luogo al lancio. Le pietre non devono essere grandi al punto di provocare un morte repentina, ma di un peso tale da assicurare un'agonia lenta e dolorosa. Se il condannato, o la condannata, riesce a sopravvivere avrà salva la vita, ma dovrà scontare una detenzione di almeno 15 anni. Tutto questo succede intorno a noi, nel terzo millennio.
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