L'anomalia e la Costituzione

Dalla Rassegna stampa

La diciannovesima legge ad personam proposta al Paese e imposta al Parlamento ha tagliato il traguardo. Con la firma del presidente della Repubblica al «legittimo impedimento», il premier ha ottenuto ciò che cercava.
Entra in vigore un nuovo scudo processuale, sotto il quale potrà ripararsi per il prossimo anno e mezzo dai pesanti processi che ancora pendono su di lui: il caso Mills (corruzione in atti giudiziari) e l’affare Mediatrade (appropriazione indebita e frode fiscale). Silvio Berlusconi, l’Unto del Signore, sarà ancora una volta un Intoccabile dalle Procure. Gli basterà «autocertificare» di volta in volta una giustificazione
"istituzionale", per poter essere esentato dalle udienze che lo riguardano. Vera o falsa che sia la scusa, poco importa: un consiglio dei ministri, un vertice con un ambasciatore straniero, un faccia a faccia con un sindaco. Nessuno potrà mai accertare se al posto dell’impegno ufficiale (com’è già accaduto) il Cavaliere non abbia invece rubricato in agenda una seduta di «fisioterapia» a domicilio o una festa danzante a Palazzo Grazioli. Il risultato finale non cambia: per un altro anno e mezzo un solo cittadino, e sempre lo stesso, continuerà ad essere meno uguale degli altri di fronte alla legge, come accade ormai dal giorno dell’epica «discesa in campo» del’94.
C’è una prima valutazione da fare, ed è di natura costituzionale. E qui c’è solo da prendere atto e rispettare la decisione di Giorgio Napolitano. Senza esaltarla né criticarla.
Con tutta evidenza, il presidente ha ritenuto che quel testo non fosse inficiato da manifesti vizi di costituzionalità, tali da precluderne la promulgazione o da richiederne un rinvio alle Camere per una nuova deliberazione (com’è invece accaduto la settimana scorsa per la legge delega sul lavoro).
Anche in questo caso, come nel precedente, il Capo dello Stato ha fatto fino in fondo il suo dovere, esercitando i poteri che la Costituzione gli attribuisce. Ha esaminato il provvedimento, confrontandone i contenuti con i principi fissati dalla giurisprudenza della Consulta. Ha verificato l’esistenza di un effettivo, «apprezzabile interesse» (sancito dalla sentenza 24/2004 della Corte) ad assicurare «il sereno svolgimento di rilevanti funzioni» istituzionali, interesse che «può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali del diritto».
In nome di questo interesse, palesemente soggettivo ma evidentemente anche oggettivo, ha firmato la legge. Non avrà deciso a cuor leggero. E deve far riflettere il fatto che la firma sia arrivata ben 27 giorni dopo il via libera definitivo al Senato, e soli tre giorni prima della scadenza dei 30 che la Costituzione assegna al Capo dello Stato per promulgare le leggi. Per quel che vale, è l’indizio di un vaglio giuridico
più complicato, e probabilmente anche più tormentato del solito. Piaccia o no, Napolitano ha fatto la sua parte. Ora, come sempre succede in una democrazia liberale e in uno stato di diritto, il vero sindacato
di costituzionalità» di questa nuova legge ad personam spetterà alla Consulta. Toccherà ai giudici della Corte, che sicuramente saranno investiti della questione, stabilire se il legittimo impedimento è o no compatibile con la nostra Carta fondamentale. Quale «valore» debba cioè pesare di più, nel bilanciamento tra l’interesse al «sereno svolgimento di rilevanti funzioni» e il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. È già accaduto, in passato, che una legge tagliata su misura per gli interessi processuali del Cavaliere venisse promulgata dal Capo dello Stato, e poi bocciata dalla Consulta. Successe con il Lodo Schifani, firmato da Ciampi e bocciato dalla Corte con la sentenza 13/2004. E’ successo con il Lodo Alfano, firmato da Napolitano e respinto dalla Corte con la sentenza 262/2009. Potrebbe accadere anche con il legittimo impedimento. Anche se stavolta, l’ennesima «ghedinata» è stata congegnata meglio delle precedenti: sia perché si stabilisce testualmente che si tratta di «legge ponte», sia perché, proprio in ragione di questa sua natura provvisoria, è espressamente previsto che resti in vigore solo 18 mesi. Dunque non è nemmeno chiaro se ci sarebbe il tempo e se avesse senso giudicarla incostituzionale
prima della sua naturale auto-decadenza. Vedremo.
C’è una seconda valutazione da fare, ed è di natura politica. E qui si può e si deve recuperare tutto intero lo spazio della critica. Paradossalmente, nei commenti del giorno dopo, questo ennesimo e brutale strappo alle regole sembra alimentare una doppia speranza. La prima è che, a questo punto, il premier cessi una volta per tutte la guerra atomica contro la magistratura, e che si possa realizzare davvero quel clima di «leale collaborazione tra autorità politica e giudiziaria» sul quale Napolitano ha insistito nella promulgazione della legge. La seconda è che, a questo punto, il premier cessi una volta per tutte la battaglia ideologica contro l’opposizione, e che si possa concretizzare davvero il retorico richiamo al «dialogo» sul quale si consuma da due anni questa legislatura.
Il Cavaliere ha promesso entrambe le cose. Di nuovo:vedremo. La pessima esperienza di questi anni non convince, e il conflitto permanente di questi mesi non aiuta. Anche il presidente del Consiglio che stravinse le elezioni nella primavera del 2008 fece un discorso da «statista» in Parlamento, per chiedere la fiducia, e subito dopo celebrò con parole finalmente solenni il 25 aprile. Abbiamo visto, poi, quale inferno abbiano lastricato quelle buone, ma bugiarde intenzioni. Nel frattempo Berlusconi, e con lui il suo governo e la sua maggioranza, portano l’enorme responsabilità di aver piegato ancora una volta l’interesse nazionale a un’esigenza personale. Di aver fatto coincidere, di nuovo, la biografia della nazione con l’agiografia di chi la governa. Questa paurosa mancanza di senso civico, questa pericolosa latenza di etica repubblicana, pesano e peseranno tutte intere sulle spalle del Cavaliere e di chi lo sostiene, in Parlamento e fuori. E nella deriva plebiscitaria ché accompagnala sua ascesa verso il Quirinale, dove per il 2013 (o forse anche prima) lo candida ormai ufficialmente il ministro leghista Calderoli, si produrrà anche l’ultima, diabolica manipolazione genetica della nostra Carta fondamentale.
La patologia di questo quasi ventennio, invece ai essere risolta nella fisiologia democratica, verrà riconosciuta formalmente e fatta propria non solo dal Paese reale (attraverso il voto), ma anche dal Paese legale (attraverso le riforme). Questi diciotto mesi di vigenza del «legittimo impedimento», infatti, oltre che a difendere Berlusconi dai procedimenti in corso, serviranno anche per «traslare» questo scudo processuale da legge ordinaria a legge di revisione costituzionale, secondo le procedure stabilite dall’articolo 138. Si compirà così il capolavoro finale: l’anomalia berlusconiana, piuttosto che essere normalizzata attraverso la sua progressiva neutralizzazione, sarà superata attraverso la sua definitiva costituzionalizzazione.
Neanche l’Italia uscita dall’urna delle regionali merita un "sonno della ragione" così prolungato e così profondo.

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