L'anatema di Togliatti contro Croce

Dalla Rassegna stampa

La storia del Novecento italiano ha avuto due maestri: Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Poi sono arrivati i "cattivi maestri". Ma va rilevato che l'ostilità nei confronti del metodo e del pensiero liberale parte da lontano ed è sempre stata una costante di tutte le culture assolutiste e dogmatiche. A cominciare da quelle culture totalitarie collocate ideologicamente a sinistra: leninista, stalinista, comunista, maoista o antagonista. Fino ai più aggiornati integralismi politici provenienti proprio da quella parte del sistema partitocratico.

È la storia d'Italia di questi ultimi cento anni. Una costante, che continua. Si pensi che già con Benedetto Croce e Giovanni Gentile, i due maggiori filosofi italiani del secolo scorso, la rabbia e la repulsione nei confronti del pensiero liberale si era ampiamente manifestata in tutta la sua crudezza e crudeltà. Croce e Gentile, infatti, provenivano entrambi dalla cultura liberale e, per questa loro "colpa" originaria, per le loro idee, furono per decenni dimenticati e schiacciati politicamente e culturalmente dal Pci e dall'egemonia gramsciana dei cosiddetti "intellettuali organici". Si pensi che le opere di Croce sono state rimesse in circolo nelle librerie solo negli anni Novanta, con le eleganti edizioni di Adelphi. Sull'assassinio di Gentile, avvenuto a Firenze nell'aprile del 1944 da parte dei Gap comunisti fiorentini, invece, non basta soffermarsi perché l'orribile vicenda meriterebbe un lungo approfondimento, ma è giusto sottolineare come il destino di Gentile fu ancora più vigliacco e atroce di quello che dovette subire Croce.

«Vorrei dire, dell'onorevole Benedetto Croce, che è passato in quest'aula come un'ombra, l'ombra di un passato molto lontano!», sono le parole di Palmiro Togliatti, che non stupiscono di certo, ma che danno il senso e l'origine dell'oscuramento anti-crociano da parte del Pci. Sono parole aspre pronunciate da Togliatti durante i lavori dell'assemblea costituente, nella seduta del 27 marzo 1947, e che sono piovute su "don Benedetto" come un anatema. Eppure, a distanza di oltre sessant'anni, l'attualità del pensiero liberale e la sua capacità di rinnovamento mostrano e dimostrano la lungimiranza nonché la durata del metodo filosofico di Croce e del liberalismo in genere. Però, la domanda che ci si pone è: perché tutto questo astio nei confronti di Croce? Semplice, la tirannia ha nei confronti della democrazia liberale e del metodo liberale un riflesso di repulsione e di sopravvivenza. Già all'epoca, infatti, la burocrazia partitocratica del Pci temeva le idee di libertà professate da Croce molto più di quanto non temesse il diffondersi del pensiero cattolico, anzi: la prospettiva del cosiddetto "compromesso storico" è sempre stata la massima aspirazione politica di molti dirigenti comunisti. Come vi fosse una sorta di attrazione. E così è ancora oggi. I due nemici del Pci sono, ancora una volta, Croce e Gentile. Di più: il nemico principale dello storico asse cattocomunista sta a sinistra ed è rappresentato dalla sinistra liberale, laica, social-democratica, libertaria.

Non stupisce, allora, che Benedetto Croce sia stato oscurato dalla cultura marxista e di una certa sinistra. Ciò è avvenuto non perché il filosofo di Pescasseroli fosse considerato un esponente della destra liberale, cioè un nemico di destra, ma perché venne ritenuto un credibile e autorevole esempio del più alto e nobile antifascismo, cioè Croce faceva paura alla gerarchia del Pci perché veniva visto come colui che, nel maggio del 1925, promosse e pubblicò il Manifesto degli intellettuali antifascisti. E ancora oggi questa paura rimane. Ma la frase contro Croce, pronunciata da Togliatti alla costituente, rappresentava soltanto un ennesimo attacco, che seguiva tanti altri tentativi di delegittimazione di Croce da parte del Pci e dei suoi sodali. Si pensi che il 31 dicembre 1945, stanco di questi continui attacchi denigratori, Benedetto Croce, da vero galantuomo qual era, scrisse al segretario comunista le seguenti testuali parole: «Le dirò che provo un curioso effetto tra di meraviglia e di filosofico sorriso, nell'udirmi talvolta designare dai suoi come "reazionario" o anche "filofascista". La modestia, il pudore, mi vieta di rammentare che io sono stato il più radicale, e con ciò sempre liberalissimo, rivoluzionario nella vita mentale e culturale d'Italia...».

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