L'amaca

I dati terrificanti sull'evasione fiscale, e le notizie sulla perdurante fuga di denaro all'estero (grassi rotoli di banconote, loschi come refurtiva) fanno sembrare un brodino caldo anche la più drastica delle manovre economiche. Ognuno decida in cuor suo se siamo un popolo in prevalenza di ladri o semplicemente di furbi. Sono giudizi da calibrare a seconda dell'etica di ciascuno. Ma non vi è dubbio, invece, sulla oggettiva disparità, tipicamente italiana, tra le fortune individuali e la disgrazia collettiva, con un gap umiliante tra il tenore di vita dei ricchi (molti dei quali arroganti e cafoni, e non è un dettaglio) e le cose di tutti, le scuole, gli ospedali, i treni, le strade.
Sempre più esatto, purtroppo, risulta il vecchio paradosso sull'Italia "paese povero abitato da ricchi". Le sorti della politica e del costume, negli ultimi vent'anni, non possono che avere accentuato il patologico egoismo di chi vede lo Stato come un'entità incomprensibile e vessatoria. Il solo, consolante passo avanti, a ben vedere, è che gli italiani fanno oggi con lieta sfrontatezza ciò di cui fino a ieri, da democristiani, si vergognavano. Il vizio è emerso, è visibile, e non si può più fare finta che non ci sia. Almeno questo al berlusconismo lo dobbiamo: sappiamo meglio di prima chi siamo davvero.
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