L'amaca

Le sortite di Silvio Berlusconi oggi valgono, sui giornali, le pagine interne, molto raramente la prima: come le dichiarazioni di qualunque altro politico. Conservano un vago senso di minacciosa incombenza («ci sono ancora, ci sarò sempre», come l'Uomo Mascherato), ma fanno l'effetto di una presenza rimasticata. La fase è altra, altro oramai è il Paese, e se esistono uomini per tutte le stagioni, non esistono uomini per tutte le epoche. La sua è finita nel maggio dell'anno che sta per trascorrere, e troppo spesso ci si dimentica di dire che è finita per volontà popolare, con la travolgente vittoria a sorpresa dei referendari e con la caduta di Milano, perduta non dalla Moratti sola, ma da tutto il potere di centrodestra, da Formigoni a Ligresti a Mediaset.
Amici superstiziosi, quando lo dico, scuotono la testa, e parlano di Berlusconi come di un ordigno ancora innescato. Credo si sbaglino. Quasi nessuna delle coordinate sociali e psicologiche che hanno generato il suo potere, e da esso sono state generate, è ancora in piedi. Non l'ottimismo crapulone, non l'illusione di essere tutti ricchi, non la remissività televisiva fondata sul silenzio della parola e sul rumore delle tette. Le foto della povera Ruby Rubacuori, sui giornali, paiono datate come quelle delle Kessler. È in bianco e nero, oramai, anche Silvio Berlusconi.
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