L'amaca

“Ebreo comunista miliardario” scrive su Facebook, a proposito di Roberto Benigni, un uomo di punta del Pdl calabrese, assessore all'Urbanistica del capoluogo, avvocato, ex coordinatore di An, insomma a tutti gli effetti un esponente della classe dirigente del primo partito italiano. Il trittico di epiteti ha due aspetti rilevanti, e tipici. Il primo è che (ovviamente) non sono epiteti, ma lo diventano nella cultura paranoica di una destra ammalata di ignoranza e di paura. Il secondo è che al classico abbinamento "ebreo e comunista" (due gruppi di esseri umani che hanno potuto frequentarsi soprattutto nei lager nazisti, insieme agli zingari e agli omosessuali), si aggiunge "miliardario" perché l'ingrediente populista, non nuovo ma assai potenziato nel ventennio berlusconiano, si nutre di un odio indeterminato e pregiudiziale per ogni genere di élite. Agli artisti di successo capita di guadagnare bene. Se sono di destra, la circostanza è considerata congrua e perdonabile. Se di sinistra, un turpe scandalo. Un recente paginone del "Giornale" contro Roberto Vecchioni gli rinfacciava fino all'ossessione, fino al tic nervoso, dieci volte, cento volte, di essere "ricco", "lautamente pagato", "attaccato ai soldi". "Ebreo" non gli veniva imputato. Forse una dimenticanza.
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