L'amaca

I cosiddetti "poteri forti" sono, per la destra populista, una vera ossessione, e quasi una superstizione: come l'aglio per le streghe. La Lega, i pretoriani di "Silvio" e Tonino Di Pietro (che incarna ottimamente la porzione di populismo in quota alla sinistra) ne parlano come nei licei si parlava della Cia negli anni Settanta: una presenza malefica e capillare in grado di avvelenare anche i cappuccini nel bar dove ci si riuniva per scrivere i volantini. Nella realtà di davvero forte, in Italia, non c'è niente se non lo spirito di adattamento. L'influenza e il ruolo dei "poteri forti" sono ingigantiti a dismisura, a destra, dalla poca dimestichezza che i nuovi quadri dirigenti del leghismo e del berlusconismo hanno con le istituzioni, da un lato, con la borghesia dall'altro. Si teme soprattutto ciò che non si conosce. Sei poteri forti fossero davvero forti, dovrebbero dunque invitare qualche volta a cena anche Calderoli o la Michela Brambilla o Di Pietro, chiudendo un occhio sugli accostamenti di colore e cercando di piazzarli vicino a commensali disposti a sacrificarsi per la causa. Parlandosi, e sopportando vicendevolmente l'aplomb molto difforme, i nuovi capipopolo e i vecchi notabili capirebbero di avere non poco in comune: per esempio, non sapere che pesci pigliare.
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