L'amaca

«Guardi che il popolo ce l'abbiamo anche noi», disse tempo fa Bersani in tivù replicando al solito tribuno di destra che parlava «in nome del popolo». Chissà se, dopo queste elezioni benedette, la sinistra si ricorderà di avercela davvero, una gran fetta di popolo, tanto per chiarire come stanno le cose, carte alla mano. L'unica zona di Milano nella quale Moratti ha superato Pisapia è quel centro storico che la destra populista dipinge come il covo della "gauche caviar", l'odiata schiera dei ricchi di sinistra. Le cifre dicono che lì, tra i bei palazzi e gli struggenti giardini interni dove abita la Milano abbiente, la destra ha sempre vinto, e ancora vince. Scriveva Fortebraccio, manicheo ma dallo sguardo acuto, che si votava, in quelle case onorate, soprattutto per difendere l'argenteria. Il mito della "borghesia rossa" e delle contesse annoiate che trescavano con i rivoluzionari barbuti è sempre servito alla destra più becera (dai tempi della Notte di Nino Nutrizio) per accreditare il nemico politico di ipocrisia e incoerenza. Ma chi avesse la pazienza di rileggersi gli spogli elettorali degli ultimi cinquemila anni, non trova tracce rilevanti di questo mito. I borghesi di sinistra sono sempre stati una minoranza. Colta e combattiva, ma minoranza. E nelle strette strade dai portoni antichi, e dai negozi civettuoli, i padronal-chic presidiano il quartiere con immutata, eterna diffidenza peri "rossi".
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