L'alternativa nonviolenta di Aldo Capitini

L'ultimo numero della rivista "Diritto e Libertà", diretta da Mariano Giustino, è interamente dedicato ad uno dei pensatori più originali del Novecento, a quell'Aldo Capitini (Perugia, 23 dicembre 1899 - 19 ottobre 1968) che resta ancora un filosofo tanto emarginato, ostracizzato, travisato quanto, invece, straordinariamente innovatore, profetico, ispirato. Nulla a che spartire con lo storicismo post hegeliano, con le articolazioni neotomistiche o con il marxismo nelle sue varie declinazioni. Capitini fu, e rimane sicuramente il più propositivo, fecondo, intellettuale liberale del secolo scorso. Liberale nel senso più ampio del termine e cioè elaboratore di libertà, fautore della piena manifestazione e valorizzazione di un individuo costantemente relazionato ad altri, ma senza mai derogare dalla propria singolarità. Proprio all'interno di questa concezione liberalsocialista, s'inscrivono le sue intuizioni più felici come la compresenza dei morti e dei viventi (con il riconoscimento dell'eguale concorso alla creazione di socialità anche da parte degli assenti, dei malati, dei cosiddetti "improduttivi", di coloro che sono relegati ai margini), l'omnicrazia (la chiamata di tutti agli aspetti decisionali), la sostituzione del dinamico Tu-Tutti allo statico Tu-Tutto, il superamento della sovranità nazionale assoluta tramite lo «sviluppo di strutture democratiche autonome e intercomunicanti in ogni parte del mondo», la religiosità antitetica al confessionalismo, l'oltrepassamento dello specismo (cioè dell'arrogante e antropocentrica attribuzione di diritti esclusivamente alla specie umana). Non a caso nel 1937, quindi in pieno regime fascista, avvertì l'urgenza di dare vita, insieme a Guido Calogero, al movimento liberalsocialista, con una visione affatto autonoma rispetto a quella, pressoché contemporanea, del socialismo liberale di Carlo Rosselli. Il liberalismo, non si stancò di rimarcare, è apertura al grado più alto di socialità e, quindi, integrato al socialismo. Non si può, però, a sua volta, comprendere il liberalismo capitiniano se lo si astrae dalla linfa che innerva l'intero percorso filosofico, cioè dalla nonviolenza. L'approfondimento della nonviolenza come azione dialogante e pensiero teso all'illimitato condusse Capitini a divenire, com'egli ammise, gandhiano in virtù di un'impostazione kantiana. Per lui nonviolenza doveva scriversi come una sola parola, e non separando l'avverbio "non da violenza", perché la nonviolenza dev'essere interpretata come qualcosa di organico, di positivo, come progetto da attuare nell'esistenza. Da qui quanto ne seguì sotto il profilo teorico e pratico come, ad esempio, l'assunzione, tanto spontanea quanto anticonformista in tempi di appiattimento assoluto, del vegetarianesimo da considerarsi non solo come regola alimentare ma come stile di vita non cruento, non totalitario, non assoggettante (va ricordato che, anche a causa di questa scelta, giudicata a quei tempi bizzarra e scandalosa, fu cacciato nel 1933 da Giovanni Gentile dalla Normale di Pisa dove svolgeva mansioni di segretario economo e che nel 1952, dopo avere promosso un convegno su "La nonviolenza riguardo al mondo animale e vegetale", diede vita alla Società vegetariana italiana). Da qui il rifiuto di intendere la realtà come un blocco fossilizzato, immutabile, impenetrabile alle nostre aspirazioni. Per tutti questi motivi, Capitini rappresentò ed espresse una triplice alternativa, filosofica, politico-religiosa ed esistenziale, in un paese come il nostro in cui prevalgono, invece, il soffocamento premeditato e la progressiva eliminazione di tutto ciò che è altro, differente, non omologatile. Meritoria, dunque, la decisione di Mariano Giustino di dedicargli un numero monografico, curato da Andrea Maori, di "Diritto e libertà", rivolto a quel mondo culturale e politico che in molti casi ancora ignora completamente la stessa esistenza del pensatore perugino. La pubblicazione, arricchita da un bell'inserito fotografico con diverse immagini inedite e con poesie dell'autore perugino, comprende, tra gli altri, interventi di Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia, Angiolo Bandinelli e testimonianze importanti come quella di Danilo Dolci, anch'egli tenace assertore della nonviolenza.
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