L'Aja, Karadzic finalmente alla sbarra

Dalla Rassegna stampa

«Sarei davvero un criminale se accettassi di farmi processare senza essermi preparato». Per un attimo il volto impassibile di Radovan Karadzic si lascia andare a uno sguardo beffardo mentre fissa i giudici con le toghe rossonere del tribunale internazionale dell´Aja. Quelle parole le ha scelte con cura. L´uomo accusato di essere un criminale di guerra le ha infilate come una sfida, alzando leggermente la voce mentre elencava puntigliosamente i motivi per cui chiede «ancora dieci mesi» per prepararsi ad un processo dove l´ergastolo è dietro l´angolo.
Sono le due e un quarto del pomeriggio quando per la prima volta accetta di sedersi sul banco degli imputati, è solo, attorno le sedie sono vuote perché ha deciso, e lo rivendica, di difendersi da solo. Si è presentato vestito di scuro, camicia rosa e cravatta rossa, i folti capelli ben pettinati, proprio come eravamo abituati a vederlo quindici anni fa, quando dalle alture sopra Sarajevo il presidente-psichiatra non lesinava interviste, mentre i suoi uomini bombardavano civili innocenti con ferocia metodica. Nulla a che vedere con il Karadzic del luglio 2008, quando dopo tredici anni vissuti da fuggitivo venne catturato con la barba da santone.
«Non ho bisogno di un nuovo avvocato, ho solo bisogno di tempo». Elenca una quantità mostruosa di documenti («un milione e trecentomila pagine da leggere, tre giorni di videotestimonianze da ascoltare»), ripete più volte che ha deciso di difendersi da solo («nessuno può capire questo materiale meglio di me»), accusa i procuratori di «trucchi», si erge a paladino del diritto: «Questa è l´ultima occasione per arrivare alla verità, non voglio boicottare questo processo ma non posso accettare di partecipare a qualcosa che parte male dal primo momento, che viola i miei diritti e in particolare quello alla difesa».
Mantiene lo sguardo impassibile mentre il procuratore, la signora Hildegard Uertz-Retzlaff, ricorda i capi d´accusa, bolla come scuse i tentativi di Karadzic di rinviare il processo e annuncia che «non si permetterà al signor Karadzic di manipolare la procedura decidendo di non assistere alle udienze». Il pm chiede invece che gli venga assegnato un avvocato d´ufficio e arriva ad ipotizzare l´uso della forza per essere certi che l´imputato «sia presente» in aula. Non batte ciglio neanche quando interviene l´altro procuratore, Alan Tieger, che lunedì (con Karadzic assente) lo aveva accusato di essere stato perfettamente a conoscenza dei bombardamenti contro la popolazione civile di Sarajevo: «Sapeva che le sue forze bombardavano e sparavano contro i civili, creando un clima di terrore».
Non si entra nei dettagli di quello che è accaduto in quel terribile e sanguinoso triennio ´92-´95, quando autoproclamatosi presidente dei serbi di Bosnia, Karadzic ha imposto (insieme al sodale Mladic) la legge del più forte. Per parlare dei crimini di guerra e contro l´umanità, dei 44 mesi di assedio a Sarajevo, degli ottomila morti di Srebrenica che lo inchiodano come mandante di un genocidio, ci saranno tempo e testimoni. Per il momento ci si è fermati alle procedure e a una noiosa schermaglia giuridica. Lui, l´imputato, se non altro ha ottenuto che l´udienza di questa mattina, con la presenza di due testimoni d´accusa, venisse rimandata. Entro la fine della settimana verrà presa una decisione, ma il presidente della Corte, il sudcoreano O-Gon Kwon, ha già ricordato che a Karadzic è stato dato «tutto il tempo» per preparare la difesa e che la parola finale sull´argomento «spetta al tribunale e non all´imputato».

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