Laicato laico

Trascrivo, quasi letteralmente, dai giornali: Edoardo Patriarca, segretario del Comitato organizzatore delle settimane sociali dei cattolici promosse dalla Cei (prossimo appuntamento, credo, a metà ottobre) ha sollevato il problema dell'impegno dei fedeli cattolici, "ammesso che vogliano essere protagonisti e non solamente soprammobili".
Un punto dolente, nella chiesa, sembra essere infatti "la consistenza, o l'inconsistenza dei cosiddetti 'laici cattolici'". Sempre la stampa ricorda date ritenute significative in tal senso: quel 24 agosto 2004 quando, al Meeting di Rimini, l'allora presidente dell'Azione cattolica Paola Bignardi era sul palco assieme al leader laico di Cl, Giancarlo Cesana.
Il cardinale Giuseppe Betori, segretario della Cei, fu tra quanti annunciavano l'avvento di una "nuova stagione", nella quale le due potenti organizzazioni si sarebbero mosse per realizzare "tutte le convergenze" utili per "reagire alla diaspora culturale" e sventare "il rischio sempre paventato", della irrilevanza. E non si contano gli appelli della gerarchia per una "nuova generazione di politici cattolici"; l'ultimo, del cardinale Bagnasco, è di pochi giorni fa. In questi ultimi anni io sono stato piuttosto preoccupato per l'efficienza, la potenza di fuoco ostentata dal mondo cattolico e da un laicato che non faceva nulla per nascondere la propria sicurezza,le proprie certezze nel vittorioso destino della chiesa sul detestato laicismo. Evidentemente, per mia incapacità o per scarsa conoscenza di un mondo lontano e sempre un po' segreto (ahi se non ci fosse il Foglio) mi ero sbagliato e ora, tra "caso Boffo" e altri grandi o piccoli sismi, quel laicato appare in preda a un certo panico. Scrive Luigi Amicone, direttore del settimanale ciellino "Tempi": "Mi par di vedere uno scarso entusiasmo, salvo eccezioni come il Meeting"; o anche: "La cultura del piagnisteo è la condizione per essere spazzati via"... etc. Giuseppe De Rita, mentre ritiene che nella sua "fenomenologia quotidiana" il mondo dei fedeli sia una presenza diffusa e complessivamente ricca e valida, è poi d'accordo nel giudicare negativamente l'operato del suo "tessuto intermedio", quello costituito dalle "gerarchie ecclesiastiche" e dall'associazionismo ecclesiale": insomma il laicato organizzato.
Vedremo come svilupperà questa analisi, comunque seria e dignitosa, dei cui precedenti storici ieri il Foglio ci ha dato una veloce ricostruzione. A me viene però in mente che accanto a quello del laicato cattolico c'è il problema del laicato - diciamo così - laico. Non è che qui le cose vadano meglio. Forse, vanno anche peggio, Non mi sovviene di essermi mai imbattuto, da tempo, in una analoga analisi, o inchiesta, o almeno preoccupazione circa la situazione ideologica e/o sociologica della cultura e della presenza laica nel paese. L'argomento è del tutto ignorato. Forse anche temuto, meglio starsene alla larga: la parte cattolica ha i suoi guai, ma è abbastanza forte da mettere in soggezione quanti possano avere la tentazione di occuparsi del tema, di farne oggetto di una inchiesta, cattedratica o giornalistica. Però il problema ha radici profonde: non si ha una idea precisa di cosa realmente significhi oggi essere laici, e temo occorrerà molto tempo prona che ci si renda conto che la sfida della laicità contemporanea è l'individuazione dei parametri di una nuova regolamentazione istituzionale del mondo globalizzato. Invece di laici che si occupino di questo groviglio di problemi - che sviluppano, approfondiscono, modernizzano quelli affrontati dai laici (liberali) del passato nell'ambito degli stati nazionali - fanno gran chiasso i laicisti, sempre in zuffa con i clericali sui cosiddetti temi etici, quelli che i laici sintetizzano e racchiudono nella più vasta area dei diritti civili e/o umani.
Ripesco una pagina di don Gianni Baget Bozzo del 1997, che mi pare colga in anticipo l'odierna situazione: "Essere cattolico è diventato preferibilmente anonimo. Rimane, ma nel segreto profondo, inconfessato". Baget Bozzo è una delle figure più interessanti della cultura politica italiana, e mi riprometto di tornarci su. Questa sua frase è suggestiva ma ha qualcosa di ambiguo. Mentre lui stesso, come è noto, dà una interpretazione mistica e interiore dell'essere cattolico, qui sembra invece auspicare l'attivismo predicato dalle gerarchie, quelle che insistono perché il cattolicesimo entri nella sfera pubblica, o per lo meno che la sfera pubblica apra le porte a "Dio". Si possono dare le più varie interpretazioni e risposte al dilemma, però in definitiva il problema è sempre quello: "Che significa essere cattolico, oggi?" Fa il paio con quell'altro: "Che significa essere laico, oggi"? Come diceva Riccardo Pazzaglia, il celebre filosofo di "Quelli della notte" di Arbore: "Ah, saperlo!".
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