L'«uovo di giornata» è anche lo stillicidio dei partiti inconcludenti

Dalla Rassegna stampa

Nel linguaggio colorito di Bersani l'uovo di giornata sarebbe la collana di piccoli intoppi quotidiani, o meglio di provocazioni politiche, che i berlusconiani stendono ogni giorno sul sentiero del centrosinistra: dal voto al Senato sul presidenzialismo, destinato a sfociare nel nulla ma utile per offrire al Pdl una bandiera da sventolare, fino alla frase di Alfano sulla riforma elettorale quasi pronta, se solo il Pd accettasse il sistema delle preferenze (gradito all'Udc, ma respinto, come è noto, dal Pd).

Nella percezione dell'uomo della strada, invece, l'uovo di giornata è anche lo stillicidio dei partiti inconcludenti che riempiono le cronache con i loro tatticismi. Questo genere di uovo di giornata scandisce la marcia verso un epilogo che ormai si delinea come drammatico e non solo grottesco. Ogni giorno la disillusione cresce. Ieri, ad esempio, la tragicomica vicenda della riforma elettorale ha registrato la consueta polemica fra le segreterie di Pdl e Pd. Sia Alfano sia Bersani si dicono ben disposti a sottoscrivere una splendida legge in grado di restituire ai cittadini tutto il potere perduto: purtroppo però c'è l'altro (a scelta, in base alle proprie preferenze politiche: Alfano o Bersani) che fa saltare l'intesa all'ultimo secondo per inconfessabili motivi.

È evidente peraltro che il problema della riforma non è tecnico, bensì tutto politico. Manca, come è sempre mancata, l'intesa al massimo livello fra i partiti. E dal momento in cui è riapparso sulla scena, è chiaro che Berlusconi si riserva l'ultima parola: «nulla osta» o veto. A meno che Pd e Udc non dimostrino di avere la forza numerica, la determinazione e la convenienza a procedere da soli nelle aule parlamentari. Finora su questo hanno preferito astenersi. Per cui Berlusconi gioca come il gatto con il topo. Non è che il Pdl «cambia idea ogni giorno», come dice Bersani, e senza dubbio c'entrano poco le preferenze sulle liste. Berlusconi tira la corda perché non vede l'interesse a favorire le manovre dei suoi avversari. E tantomeno ad accorciare la legislatura.
Quindi avanti con la marcia nel deserto. L'intesa forse si farà, ma solo quando sarà conveniente per tutti e tre i maggiori partiti. I quali poi dovranno misurarsi dentro e fuori il Parlamento con il fronte anti-establishment che non resterà silente.

Intanto il tempo scorre e lo stillicidio continua. Cosa insegna il doppio incontro del premier con Bersani e Alfano (senza Berlusconi)? Quasi nulla che già non si sapesse. Appoggio al governo ma «senza ulteriori sacrifici» (Alfano). Sì o no all'agenda Monti? «Ci vuole piuttosto un rilancio culturale» (Bersani). In realtà i partiti hanno poco da dire. L'enormità della crisi li rende sgomenti e non dispongono di strumenti per dominarla. Sanno di non avere alternative a Monti, ma non vorranno mai ammetterlo. E soprattutto non possono rinunciare a tornare sulla scena dopo il voto del 2013, pur senza sapere bene cosa fare e con chi farlo. Quindi sostegno al governo, sì, ma con tante riserve mentali.
Con ogni probabilità voteremo intorno ai primi di marzo, dopo una riforma elettorale varata verso la fine di quest'anno. Come è noto, il «semestre bianco» è sospeso, come prevede la Costituzione quando la fine del mandato presidenziale e la fine della legislatura coincidono. Il dopo-voto sarà gestito ancora da Napolitano nelle ultime settimane del settennato.

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