L’uomo che amava i colonnelli

I files messi in circolazione dal misterioso Assange sicuramente riservano ancora qualche sorpresa. Intanto la prima ondata può essere considerata con più calma dopo 24 ore. Calma che al nostro governo è sembrata mancare. Mentre il ministro degli Esteri paragonava melodrammaticamente l’azione di Wikileaks all’attentato dell’undici settembre, da palazzo Grazioli facevano sapere che il premier ci aveva riso sopra.
La mancanza di coordinamento evidenzia una spettacolare mancanza di logica, spesso sintomo di preoccupazione. Ma è difficile, possano essere i "party selvaggi" del Cavaliere a causare grandi apprensioni . Cosa mai avrà potuto sapere in merito un diplomatico americano più della casalinga di Voghera, che già è stata informata di tutto l’essenziale? E infatti già nelle prime carte c’è qualcosa di più interessante quando si dà conto di una sollecitazione di Hillary Clinton a indagare su possibili affari personali combinati da Berlusconi e Putin. In parole povere: il conflitto di interessi varca l’oceano. Non si tratta di televisioni, di cui agli americani è sempre importato poco, ma di energia, di gasdotti e di petrolio. E forse all’amministrazione Usa interessa anche una coda velenosa del disastro lasciato da Bush jr. e dalla sua "lotta al terrorismo". Il segretario di Stato americano sembra voler leggere una questione di politica internazionale alla luce di un inammissibile tornaconto personale di un premier alleato. Forse non ha torto. È difficile infatti pensare a una pulsione antiamericana da parte del Cavaliere. Sul Corriere della Sera di ieri si faceva notare correttamente una sua singolare sortita a favore della Russia nell’Unione Europea già nel 1994, ma era l’epoca in cui Berlusconi cercava una identità definita per il suo partito e forse il professor Quagliariello gli aveva parlato di De Gaulle e della sua Europa "dall’atlantico agli Urali".
In ogni caso la sconfitta del ‘96 troncò ogni velleità di raffinate definizioni ideologiche e il centro destra tornò a un roccioso anticomunismo di maniera dove Urss e Russia si confondevano. Il 2001 con la vittoria alle elezioni ripropose il problema dell’identità e l’undici settembre lo risolse. La guerra di Bush offrì un’ideologia ai berlusconiani. L’amministrazione Usa apprezzò, così come apprezzò il fiancheggiamento di Putin nel frattempo arrivato al Cremlino strumentalizzando la repressione contro i ceceni, subito rivenduta ad ovest come parte della guerra a Bin Laden. In questo torno di tempo c’è da parte del Cavaliere la scoperta dell’amico Vladimir, ex colonnello del Kgb, che governa da autocrate un mercato con grandi possibilità. In mezzo c’è un altro episodio chiave, nel 2003, almeno secondo Pannella.
Entra in scena l’altro colonnello e partner poco raccomandabile di Berlusconi: Gheddafi. È il rais libico che con una delle sue piazzate fa fallire la riunione della Lega Araba che avrebbe probabilmente votato la proposta formale di esilio per Saddam, in accordo col dittatore iracheno. La riunione fallisce e spiana la strada ai carri armati di Rumsfeld e Cheney, che ovviamente dovranno sdebitarsi. Infatti la Libia viene tolta poco dopo dalla "black list" americana. Ma Gheddafi non si accontenta e qualcosa toccherà fare per lui anche da parte europea e italiana. Lo scenario, affascinante e soprattutto non privo di qualche pezza di appoggio, andrebbe approfondito. Assestato ideologicamente, con nuovi contatti in Russia e un ruolo di ponte esercitato con la Libia, Berlusconi passa all’incasso nella seconda parte della legislatura che lo vede premier. Nello stesso 2003 il suo primo emissario al Cremlino, che voci di palazzo mai smentite identificano in Marcello Dell’Utri, ottiene sostanziose commesse da Gazprom per alcune aziende municipalizzate leghiste. A tirare le fila del nuovo business arriva però quasi subito un uomo d’affari del nord, Bruno Mentasti, che dalla S. Pellegrino si era spostato a Tele+, prima di occuparsi di energia. Mentasti però smentisce, quanto al gas, di avere il Cavaliere come socio. Dell’Utri comunque dice di lui che "è un amico".
L’uomo del nord si aggiudica due miliardi di metri cubi di gas l’anno che per motivi di antitrust l’Eni non può commerciare. Per la cronaca questo è grosso modo il periodo nel quale investe nel gas russo anche una piccola nuova società che vanta fra i soci Massimo Ciancimino, che proprio per questo verrà imputato di riciclaggio. Ma la partita grossa si gioca nel grattacielo dell’Eni dove nel giugno 2005, a meno di un anno dalla fine della legislatura, Vittorio Mincato è sostituito da Paolo Scaroni contestualmente a un nuovo accordo con Mosca. A mettersi di traverso sono due autorevoli esponenti dell’opposizione, Enrico Letta e Pierluigi Bersani, che chiedono un’inchiesta su quello che combina Mentasti. Intanto Scaroni blocca e rinegozia nell’ottobre 2005 l’accordo con Gazprom. In fondo l’Eni esisteva pur sempre da prima che il Cavaliere posasse il primo mattone. Ma la sconfitta elettorale del 2006 impone un colpo di freno. Dura quanto il governo Prodi, poco. Già nell’aprile 2008 Berlusconi invita l’amico Vladimir in Costa Smeralda. Gazprom punta al mercato libico. "Non c’è problema", risponde il Cavaliere, "con Gheddafi abbiamo ottime entrature". Resta da sapere da Wikileaks se qualcuno ha risposto alle richieste di Hillary Clinton.
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