L’Italia pronta a produrre farmaci alla cannabis

Dalla Rassegna stampa

L’Italia produrrà farmaci a base di cannabis. Sarebbe qualcosa di più di un’indiscrezione quella annunciata a mezza bocca lunedì dal ministro della Sanità Beatrice Lorenzin durante la trasmissione Porta a Porta. Il governo sta lavorando all’ipotesi di investire l’Istituto Farmaceutico militare di Firenze per la lavorazione dei medicinali a base di cannabinolo che attualmente vengono importati dall’estero e a costi elevatissimi. L’intesa c’è. Al progetto lavorerebbe lo stesso ministro Lorenzin insieme al ministro della Difesa Roberta Pinotti per la competenza sul Farmaceutico. Non se ne sa di più, ma alla Difesa confermano.

La richiesta è arrivata dal ministero della Salute e c’è la disponibilità della Difesa per andare avanti. Il progetto che evidentemente è ancora in fase di studio, ma che è arrivato sul tavolo dei dicasteri ed è quindi già un passo oltre, potrebbe forse avvalersi della collaborazione del Cracin di Rovigo, l’unico Istituto autorizzato in Italia alla coltivazione sperimentale della cannabis. L’apertura alla produzione di farmaci a base di cannabis, ripetiamo ancora in fase di studio, arriva anche grazie alla pressione esercitata da quelle Regioni che in questi mesi hanno varato le leggi per l’erogazione gratuita di questi medicinali. Leggi però mai del tutto applicate per mancanza dei regolamenti attuativi, ma anche per le difficoltà di reperibilità e i costi dei farmaci. Proprio questo ha spinto molti Consigli regionali a introdurre nelle nuove normative una clausola - fino ad oggi inapplicabile - che prevede la possibilità di stipulare convenzioni con gli istituti autorizzati alla coltivazione e alla produzione dei farmaci.

Se il progetto Lorenzin-Pinotti dovesse trovare una sua forma e andare in porto sarebbe una svolta sia per le Regioni sul cui bilancio attualmente ricadono i costi dei medicinali, sia per i pazienti affetti da patologie che trovano beneficio dall’uso del cannabinolo (sclerosi multipla, neuropatie, tumori e altro). Molti di loro oggi sono esclusi dalla terapia proprio per questioni economiche. Basta ricordare che il Sativex, farmaco autorizzato dall’Aifa, costa oggi circa 700 euro a flacone, cioè un mese di terapia. E che l’infiorescenza, cioè il Bedrocan, attualmente importato dall’Olanda, costa circa 35 euro al grammo quando la posologia media per un paziente affetto da sclerosi è di due grammi al giorno.

Lo ha denunciato la Radicale Rita Bernardini «in Italia soltanto 60 persone hanno accesso alla cannabis per uso terapeutico attraverso le Asl. Questo nonostante la legge varata nel 2006 che consente appunto l’uso farmacologico del principio attivo». Una piccola, grande, rivoluzione dunque. Ma non una novità assoluta. A parte le iniziative recenti come quella del senatore Luigi Manconi che ha presentato un pdl proprio per chiedere la produzione dei farmaci in Italia, l’ipotesi di usare il Farmaceutico militare di Firenze per la produzione di medicinali a base di cannabinoidi era già stata affrontata nel 2010. Ministro della Sanità era allora Ferruccio Fazio, in quota Pdl. L’ordine del giorno era stato presentato dalla senatrice radicale Poretti. Si voleva verificare l’opportunità e la fattibilità tecnica e giuridica di una produzione in Italia proprio presso il Farmaceutico. In questo caso il progetto prevedeva che per la produzione dei farmaci venissero utilizzate le eccedenze di produzione di cannabis del centro di ricerca per le colture industriali di Rovigo.

Il Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri di allora disse sì. Confermando l’ impegno del governo a valutarne la fattibilità. «Nel presupposto - era scritto - che in Italia, non esistono produttori farmaceutici, né italiani né stranieri, che abbiamo mai richiesto l’autorizzazione all’immissione in commercio di medicinali a base di cannabis (Thc) e che talune particolari categorie di pazienti sono costrette a importare tali farmaci dall’estero con notevole aggravio di tempi di consegna e di spesa rispetto al reale costo del farmaco».

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