L’ircocervo visto da vicino

Sempre grande è stata la confusione in cielo (e in terra) fra liberalsocialismo, socialismo liberale, radicalismo, repubblicanesimo, Giustizia e libertà (o Libertà e giustizia?), democrazia sociale, che dalla vigilia dell’unità si agitano in quel mare delle tempeste dove confluiscono, s’azzuffano e si frantumano le grandi correnti del liberalismo, del socialismo, della democrazia; e dove genieri d’ogni scuola si sono adoperati a gettar ponti, cercare unificazioni, fare terze forze o partiti nuovi con nomi antichi, come il Partito d’Azione che ricordava il partito d’azione di Mazzini contro la soluzione moderata (monarchica, liberale, democratica e perfino garibaldina) del risorgimento.
Nunzio Dell’Erba, facoltà di Scienze politiche di Torino, presenta otto personaggi della cultura azionista o con essa dialogante, e li ribattezza Intellettuali laici del ’900 italiano (Vincenzo Grasso editore. Padova, 276 pp., 24 euro). Che sarebbe davvero definizione fragile e genericissima, visto che laici siamo tutti i non cattolici (nel senso di non clericali), se l’autore non precisasse che intende parlare di quella parte della cultura laica «più dinamica» nella battaglia per coniugare una nuova sintesi di Socialisme libéral (Carlo Rosselli) o di Liberalsocialismo (Calogero). Sintesi che dopo breve corso finì in rivoli nei fiumi profondi (dal Psi, al Pci, al Pri e perfino al Pli e al Psdi: si pensi per quest’ultimi a Paggi e Garosci, a Parri, Valiani, Visentini, La Malfa, Ciampi, Bobbio). Tutti influenzati e influenti nel Partito radicale, sia in versione istituzionale (Pannunzio) che in versione movimentista (Pannella).
Tentativo arduo e non da tutti gradito, quello dei pontieri, a cominciare da socialisti e liberali che difatti con essi ebbero pochi contatti e molte polemiche, e anche anatemi e stroncature. La più famosa, quella crociana dell’ircocervo: animale delle cattedrali gotiche, mezzo capra mezzo aquila, su cui già il mondo pagano aveva fantasticato con rappresentazioni celebri di Sfingi e Chimere. (Donde la definizione popolare dei sogni impossibili: una chimera).
Gli otto personaggi di Dell’Erba, presentati cronologicamente anche in funzione didattica per il lettore, sono Colajanni, Salvemini, Gobetti, Rosselli, Capitini, Calamandrei, Calogero e Bobbio. In copertina, a colori, Carlo e Nello Rosselli, uccisi da sicari fascisti nel 1937 in Francia, nella scia di Matteotti, poi Amendola, poi Gobetti. Per restare ai “laici”. Non staremo a ripassare, attraverso i singoli personaggi, una storia più o meno orecchiata dalle generazioni anziane come la mia. Ci fermeremo invece sul capitolo che ci ha davvero incuriosito nel saggio di Dell’Erba, quello dei rapporti tra Rosselli e Sturzo, evidentemente fuori del contesto liberal-socialista. Sturzo rappresentava la cultura non laica anch’essa sconfitta dal fascismo, quella dei cattolici popolari, imbavagliati in Italia dal Vaticano, che aveva scelto Mussolini, e fuori gioco anche nel resto d’Europa: tranne in Francia, dove tra destra monarchica, sinistra frontista e centro radicalborghese, il cattolicesimo democratico diede alla cultura generale, anche laica, il meglio che possa venire da quel versante: Mauriac, Mounier, Maritain, Bernanos… Nell’Europa delle dittature cattofasciste di Mussolini, Salazar, Franco, Horty, Dollfuss, o parafasciste di Piłsudski, Metaxas, Codreanu, e nazista, quell’opposizione cattolica francese pesava nella guerra delle idee forse più delle brigate internazionali nella guerra civile spagnola.
Guerra delle idee tradita dalla massa dei “chierici”, laici, clericali, socialisti, comunisti, faziosi e fra loro ostili. Quando Rossi pubblicò nel 1931 Socialisme libéral, suscitò sorpresa e irritazione nella “Concentrazione” parigina degli antifascisti. Eppure già dal 1923, dopo la marcia su Roma, Carlo aveva anticipato al giovane cattoliberale veneto Novello Parafava di star lavorando a «una revisione in senso liberale dei metodi socialisti» e, sul piano politico, a un incontro fra Albertini, Sforza, Sturzo, Amendola, Turati che «rappresenterebbero un nucleo di forza veramente enorme».
Forse c’era molta illusione sul “nucleo di forza”, che il fascismo avrebbe distrutto fisicamente o spinto nella zona grigia del senato o nell’esilio verso Francia Inghilterra America. E forse c’era illusione anche nella predisposizione liberaldemocratica di Sturzo, che invece maturerà solo dopo il ventennio d’oltratlantico. Non bastava criticare collettivismo burocratico e determinismo marxista, visti (scriverà poi Nicola Tranfaglia) come «riflessi laici della divina provvidenza dei cattolici». Il fatto è che Sturzo non aveva forza contro le autorità ecclesiastiche, contrarissime ai suoi auspici di collaborazione fra socialisti e cattolici e larghe di elogi verso il governo Mussolini. Come non ne avevano Donati e Ferrari, leader dello sparuto gruppo di popolari antifascisti che osavano deplorare la trasformazione della Chiesa in «chiesa dello stato fascista».
Si ripropone, con questa fatica di Dell’Erba, uno dei problemi italiani meno illuminati, e cioè l’incapacità dell’intelligenza laica di sottrarre il cattolicesimo politico (tanto meno la Chiesa istituzionale) a una visione non clericale e temporale del suo ruolo. Una incapacità che viene da prima del fascismo e ancor oggi non riesce ad andar oltre la cultura del “non negoziabile”, nonostante la parentesi più o meno equilibrata del degasperismo, che ebbe la collaborazione anche di personalità come La Malfa e altri promotori del dibattito liberalsocialista.
Del resto, è un po’ difficile curare gli altri se non si riesce nemmeno a curare se stessi. Si pensi a quanti “socialisti” e “liberali“ s’incontrano da vent’anni nel berlusconismo. Altro che Rosselli.
© 2012 Europa. Tutti i diritti riservati
SU