L’inutile caccia ai Comuni altrui delle Province condannate a morte

Dalla Rassegna stampa

Hanno ben poco da agitarsi, le province destinate a scomparire. Nonostante i loro politici le stiano pensando tutte, non hanno speranze. Anche l’ultimo appello di ieri, del sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, presidente del Consiglio toscano delle autonomie locali e coordinatore dei Cal di tutt’Italia, è stato accolto dal ministro Filippo Patroni Griffi con un severo «benissimo il dialogo, ma il percorso è quello». Con l’approvazione definitiva della spending review, infatti, è scattato ufficialmente il conto alla rovescia. Le autonomie locali hanno ora 70 giorni di tempo per presentare la loro proposte di riorganizzazione al governo.

A caldo, quando si è cominciato a parlare di accorpamenti, più di un presidente s’è scervellato per trovare qualche scappatoia. Terni corteggiava Foligno. Viterbo puntava su Civitavecchia e Santa Marinella e magari anche Orvieto. Trapani cercava di attrarre Menfi. Latina mirava ad Anzio e Nettuno. Treviso trattava con alcuni comuni vicino Venezia. Pisa corteggiava Fucecchio. In alcuni casi si sono ipotizzate soluzioni davvero ardite. Matera ha sognato di aggregare comuni dalla Murgia pugliese, dell’alto Cosentino e dal basso Salernitano. Benevento s’immaginava al centro di una triangolazione tra Caserta e Avellino, che nemmeno ai tempi di Metternich. Poi però è intervenuta una nota del governo a troncare ogni compravendita: per decidere se una Provincia soddisfa i requisiti di popolazione e territorio ( almeno 350mila abitanti e 2500 km quadrati) vale solo la fotografia del 20 luglio.

Resta in piedi il «percorso» a cui accenna il ministro Patroni Griffi. Nel Lazio, per dire, il presidente del Cal, Fabio Melilli, presidente della moritura provincia di Rieti, ha già convocato per i primi di settembre tutti i sindaci dell’intera regione per ragionare assieme alla Polverini e ai presidenti provinciali. «In certi casi - ammette Melilli - la riorganizzazione dei territori è semplice, perché dettata dalla storia o dalla geografia. Ma nel Lazio sarà molto difficile accorpare due spuntoni lontani tra loro come Viterbo e Rieti. Basta guardare una mappa per accorgersi che in mezzo c’è l’Umbria. L’unica strada passa per Terni». E in effetti a Rieti è già iniziata una raccolta di firme, a cura della Uil, per passare in blocco in Umbria.

Il Piemonte ragiona su quattro grandi enti: Torino con la sua area metropolitana, Cuneo, il Centro (Asti e Alessandria), il Nord (Vercelli, Biella, Novara e Verbania). Il governatore della Toscana, Enrico Rossi, immagina una tripartizione della sua regione, con l’area litoranea (Livorno, Pisa, Massa e Carrara, Lucca), l’area meridionale (Arezzo, Siena e Grosseto) e quella del centro (area metropolitana di Firenze, Prato e Pistoia) anche se la legge al momento non prevede ritocchi ai confini delle aree metropolitane. L’Abruzzo sembra destinato a dividersi tra L’Aquila e area adriatica (Teramo, Pescara e Chieti). L’Emilia-Romagna pensa di dividersi per tre: Emilia, area metropolitana di Bologna, e Romagna. La Lombardia, dove pensano a un ricorso alla Corte costituzionale, intanto dovrà decidersi se fare una Grande Brianza (Monza, Como, Sondrio) oppure la provincia delle Alpi (Varese, Como e Sondrio).

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