L’Armata a luci rosse

Dalla Rassegna stampa

La notizia è rimbalzata anche dalle parti nostre. D’altronde lo scandalo che ha travolto Anatoly Serdyukov, l’ormai ex ministro della difesa russo, è arrivato in contemporanea con l’affaire Petraeus e la sorte ha voluto che, alla stregua dell’ex capo della Cia, anche Serdyukov sia finito nel tritacarne a causa delle donne: quelle, giovani e avvenenti, che ha portato al vertice del suo dicastero. Tra queste figura Yevgeniya Vasilyeva. Nel cui appartamento moscovita, il mese scorso, sono stati trovati gioielli, denaro contante, diamanti. Nonché Serdyukov in carne e ossa. L’hanno fatto trapelare i siti vicini ai servizi.
Non è comunque il caso di tracciare tutti questi paralleli. I casi Petraeus e Serdyukov sono diversissimi tra loro. Nel secondo, infatti, le relazioni proibite costituiscono solo il contorno piccante a uno scandalo che sgorga dai cento milioni di dollari che dei funzionari corrotti avrebbero sottratto, svendendone il patrimonio immobiliare, a Oboronservis. Si tratta di una controllata della difesa di cui Serdyukov è stato fino all’anno scorso presidente. Questa, almeno, è la versione ufficiale dei fatti.
Poi c’è l’altro lato della medaglia. Che Brian Whitmore, giornalista di Radio Free Europe e titolare del popolare blog The Power Vertical, così riassume: «Le indagini legate alla corruzione – dice a Europa – sono uno strumento con cui i politici russi screditano i rivali. Il caso Serdyukov ricade in questo perimetro. La corruzione è talmente diffusa in Russia che chiunque diventa vulnerabile, se non gode più di sponde politiche. Il punto è questo. Nessuno dei potenti di Mosca finisce nei guai con la legge, se non c’è qualcuno più in alto che vuole questo».
A imporre la defenestrazione di Serdyukov, primo civile a capo della difesa, sarebbero stati, come evidenziato in questi giorni, i falchi dell’establishment e delle forze armate. La sua smania di tagli, riforme, modernizzazione e outsourcing stava rivoluzionando oltremodo l’assetto del comparto militare, fonte gigantesca di dividendi politici e finanziari tra i notabili dell’ala destra dell’élite politica. È così che è scattata l’inchiesta. È così che Putin ha nominato Sergei Shoigu, gradito all’apparato conservatore, come nuovo ministro.
Finita qui? Macché. Nelle ultime ore sono partite altre operazioni anti-corruzione. Grosse. Una riguarda gare d’appalto pilotate con cui Roman Panov, ex vice ministro dello sviluppo regionale e attuale governatore della regione di Perm, avrebbe dirottato verso aziende controllate da lui e da altri burocrati i fondi destinati al vertice dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation), tenutosi a settembre a Vladivostok. L’altra concerne la sottrazione di soldi pubblici destinati allo sviluppo di Glonass, ambiziosa ma finora fallimentare versione russa del Gps, gestita dal ministero degli interni.
Come leggere le due cose? La prima, a naso, parrebbe una delle migliaia vicende di mazzette che fanno della Russia una delle nazioni più corrotte al mondo. Quanto alla seconda potrebbe essere o l’avvio di una purga degli elementi moderati del ministero degli interni o all’opposto, una controffensiva di Serdyukov nei confronti di Viktor Ivanov, tra i più influenti falchi russi. Possibile regista del siluramento dell’ex ministro della difesa e sostenitore della prima ora del Glonass.
L’unica certezza, come suggerito da Whitmore, è il profilo bifronte della corruzione: piaga endemica e strumento di lotta politica.

 

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