L’amalgama difficile

Dalla Rassegna stampa

Ogni volta che si cerca di arrivare a un punto, finisce che si discute a muso duro. Nel chiuso delle stanze dei gruppi parlamentari o in assemblee open air. E con una scia di malumori quando non di polemiche roventi o prese di posizione pubbliche che gettano sale sulla ferita. Con goduto compiacimento del centrodestra che sui diritti e la bioetica non è che sia tanto meno diviso: semplicemente discute di meno (o meglio non discute) e, nel dubbio, silenzia.
Fin dalle origini sulle questioni sensibili il Pd non si è mai voluto mettere nella posizione di chi elude e non ha mai smesso di confrontarsi. Per arrivare a una posizione comune in grado di tenere insieme le diverse sensibilità dei laici e dei cattolici in un partito plurale nel dna. Oggi si tratta del modo con cui arrivare a riconoscere i diritti delle coppie di fatto, omosessuali inclusi. Ieri era il testamento biologico con defatiganti discussioni che avevano come protagonisti, sulla front line mediatica, Paola Binetti – oggi approdata altrove – e Ignazio Marino – che, pur da cattolico non smette di presidiare saldamente il fronte iper-laico.
Si ricordano seminari da cui i partecipanti di vario orientamento sono sempre emersi soddisfatti di un confronto serio, approfondito, vero. Più impegnativa la messa a punto delle strategie parlamentari che gioco forza portano a una definizione stringente. Sul tema del fine vita i dem arrivarono alla posizione prevalente che non impedì comunque gli smarcamenti e, al senato, ulteriori tentativi di mediazione (con accesa discussione, appena prima del varo della legge, fra il capogruppo Pd Finocchiaro e l’ala mariniana). Va detto che sabato è andato in scena un pasticcio che scontava tensioni accumulate sulla scia del varo (con distinguo) del documento del comitato diritti presieduto da Rosy Bindi a cui si è aggiunta una discussa gestione dell’assemblea e una certa dose di posizionamenti. Che quando salta il tappo della mediazione non mancano mai.
L’ala laica è arrivata in assemblea innervosita da un testo prodotto da un lavoro ritenuto positivo ma che giudicava troppo generico (il ragionamento di fondo: “Rinunciamo al matrimonio gay, ma per un riferimento chiaro al riconoscimento giuridico delle unioni civili. Che non c’è”), ma che pure, notano i cattolici, contiene l’esplicitazione della sentenza della Consulta sul diritto dei gay a vivere una vita di coppia – e per loro non è poco.
Da qui la discussione, con Marino che vuole presentare una mozione più hard e il documento “integrativo” che prova a evitare la spaccattura. La firma di Martinelli, vicino a Marino e responsabile diritti Pd fa arrabbiare Bindi. La firma viene ritirata. Dopodiché gli uni sostengono che l’accordo era che lo si votasse, gli altri – lo ha ribadito Bindi ieri – dicono che non è così. Comunque sia, la cosa smuove gli animi. Sicché partono le mozioni Concia (che pure si era spesa per la mediazione) e Scalfarotto.
Bindi decide di non mette ai voti, ed è di nuovo bagarre. Un cortocircuito di cui non si sentiva il bisogno. Ma che ancora una volta riporta alla difficoltà di fare sintesi su questi temi. Sui quali però forse, a questo punto, non è detto che si debba per forza ad arrivare a una posizione unitaria.
O meglio, non si può che lavorare alla massima condivisione possibile. Ma su questioni cosi delicate che toccano coscienza, convinzioni e vissuto di ognuno, in un partito appunto plurale la pluralità dei punti di vista non è uno scandalo, non è un “fallimento”. Non è una divisione. È un dato di fatto. Sempre che, in sede parlamentare, non ci sia chi ricorre con troppa disinvoltura alla libertà di coscienza.

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